Un team internazionale di ricercatori, in collaborazione con la Johns Hopkins University, ha sviluppato un algoritmo in grado di prevedere in modo più accurato e tempestivo la presenza di battiti cardiaci irregolari che potrebbero provocare gravi conseguenze.
LE RICERCHE E I TEST DURATI CINQUE ANNI Per arrivare a questo risultato, gli esperti si sono focalizzati su una particolare patologia: la cardiomiopatia aritmogena (o displasia) del ventricolo destro, una malattia ereditaria che rappresenta una delle principali cause di morte improvvisa tra i giovani adulti (viene diagnosticata a un’età media di 31 anni). James, Calkins e i loro colleghi hanno quindi raggruppato i dati di 528 cartelle cliniche (di altrettanti pazienti) provenienti da 14 centri accademici statunitensi ed europei. Nessun soggetto aveva mai presentato delle aritmie pericolose per la propria vita.
A questo punto, utilizzando fattori di rischio attestati precedentemente grazie a numerosi studi (età, battiti anormali, ritmi cardiaci anormali non sostenuti e altro ancora), gli esperti hanno sviluppato un programma informatico basato su un insieme di dati e regole in grado di prevedere un’aritmia fatale in uno dei 528 pazienti osservati. L’algoritmo è stato testato per cinque anni, al termine dei quali un quarto dei soggetti ha avuto un’aritmia pericolosa e 18 sono morti.
UN SISTEMA CHE POTREBBE SALVARE DELLE VITE Nessun paziente che, secondo l’algoritmo, presentava un rischio pari o inferiore al 5% ha avuto un’aritmia grave nell’arco dei cinque anni di sperimentazione. Più del 95% delle aritmie, secondo i risultati, si è verificato nelle persone associate a un rischio del 15%. Questo sistema informatico permetterà ai medici di riuscire a prevedere diversi eventi cardiaci potenzialmente fatali, ma non solo: grazie a questo sistema si potrà capire meglio chi ha davvero bisogno di un defibrillatore automatico impiantabile, in modo da intervenire chirurgicamente solo in caso di estrema necessità: “Si tratta di uno strumento importante ed estremamente pratico”, ha spiegato uno degli autori dello studio.