Giovedì 18 Aprile 2024

Basta violenza, il videogame scopre le emozioni

La game designer Nina Freeman guida la svolta: esperienze d’amore e di vita personale invece di combattimenti e scenari post-apocalittici

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di Viviana Ponchia

Combattere. Sconfiggere. Eliminare. Erano i verbi dei videogiochi prima che arrivasse lei, una nerd affamata di poesia. Alla fine di mezzo secolo di draghi, pistole e boss a cui fare saltare la testa, la game designer Nina Freeman ha infilato di contrabbando la parola amore. E la storia della lunga passione fra un pollice e la console non è più stata la stessa. Nelle storie di questa americana di 32 anni con i capelli oggi rosa e domani turchesi l’importante non è che qualcuno cada per non rialzarsi più. L’importante è scegliere la strada più breve verso il primo appuntamento. Imparare i misteri del sesso grazie alle bambole. Superare il trauma di andare a fare shopping con la propria madre. Missioni per ora di nicchia ma violente come un omicidio di massa ai danni di una popolazione aliena. Forse anche di più, se è vero che un gremlin resta confinato nelle lande virtuali ma un cuore lo abbiamo tutti per davvero.

Non è stata ancora fatta seriamente la conta dei guasti psicologici che la frequentazione quotidiana di uno schermo su cui sparare missili ha prodotto nelle giovani menti. C’è chi li ritiene incalcolabili e chi esalta invece le eccellenti ricadute del pensiero strategico e del lavoro di squadra. Ma mettiamo che un figlio si stanchi di esplorare il futuro post apocalittico di Horizon Forbidden West. Mettiamo che legga il New York Times, frequenti la Triennale a Milano e incontri proprio lei, Nina, innamorandosi delle sue sfide alternative. E vi chieda per favore il regalo che mai vi sareste aspettati, un gioiellino chiamato Cibele che porta la data del 2015, non roba da Playstation 5 ma da piattaforme alternative come Steam, Itch o Twitch.

Una finestra sull’amore, sul sesso e su Internet, spiega l’autrice. La storia autentica e autobiografica di qualcuno che incontra qualcun altro attraverso la finzione online e della relazione che segue, fino all’incontro reale. Adulto, unico onesto. Altro che gioco.

A quel punto che fate? Lo accontentate, il figlio con aspirazioni indipendenti, o ricominciate con le paranoie della pandemia (oggi ne hai ammazzati abbastanza, vai in camera tua a fare venti flessioni)? Cosa facciamo tutti di fronte alla profanazione del videogame da parte dei sentimenti: cantiamo vittoria per il trionfo del nuovo umanesimo o ci preoccupiamo della scorciatoia virtuale, di un surrogato che rischia di fare perdere l’ultimo contatto con le emozioni?

La diffidenza affonda nel lontano 1976, quando la Exidy lanciò Death Race, un nome una promessa. Scopo del gioco era investire con l’auto dei gremlin somiglianti a pedoni e il dibattito sulla violenza gratuita si infiammò immediatamente. Venne poi ben di peggio e siccome gran parte del tempo libero dei ragazzi del XXI secolo è sullo schermo, è stato naturale chiedersi se non stessimo allevando una generazione di ergastolani abbrutita dalla battle royale di Fortnite, dai combattimenti di Minecraft o anche solo dalle prove di Super Mario, per i più piccoli.

La psicologa Marcella Mauro ha monitorato l’aumento dell’utilizzo dei videogiochi durante i lockdown (più 75%) in parallelo alla crescente tecnofobia dei genitori, preoccupati per la perdita di contatto con la vita vera e i danni allo sviluppo cognitivo. Vecchia storia. Ma, spiega la dottoressa Mauro, come al solito gli esperti si dividono. Molte ricerche iniziate negli anni ’90 confermano che i videogiochi creano dipendenza in quanto stimolano il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. E per forza: ritmo veloce, gratificazione immediata, fattore sorpresa e ricompensa imprevedibile: cosa chiedere di più (forse una slot machine)?

Quindi allarme rosso e previsioni catastrofiche: bastano 30 minuti per diminuire l’attività dei lobi frontali e assistere alla trasformazione del bambino in zombie ansioso. E tuttavia il partito degli ottimisti ha chiesto un po’ di attenzione: guardate che in realtà per il bambino è una fantastica valvola di sfogo. Acquista sicurezza, di sfida in sfida si prepara agli ammutinamenti in ufficio, impara a prendersi i rischi e diventa amico del cambiamento. Combattere. Sconfiggere. Eliminare. E adesso amare e sbucciarsi il cuore con i giochi lirici di Nina Freeman. Farà bene, farà male, chissà. Cambia il copione, il palcoscenico e le sue incognite restano gli stessi.

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