Baglioni, 50 anni di voi e di me. "Canto per non pensare a Sanremo"

Ieri primo 'show totale' nell’Arena di Verona che per tre sere torna anfiteatro. Le altre tappe a Firenze, Ancona, Milano, Perugia, Bologna, Montichiari

Claudio Baglioni sul palco del suo 'Al Centro Tour'

Claudio Baglioni sul palco del suo 'Al Centro Tour'

Verona, 15 settembre 2018 -  Se un secolo e mezzo fa al tedesco Adolf Anderssen bastarono 22 mosse per dare “matto” all’estone Lionel Kieseritzky in quella che rimane, forse, la partita a scacchi più famosa della storia, entrata nella leggenda al punto da meritarsi, fra i giocatori, l’appellativo di “Immortale”, a Claudio Baglioni ieri sera ne sono servite 34 sotto la luna dell’Arena di Verona per vincere la sfida con se stesso che gli mettono davanti mezzo secolo di musica e 60 milioni di dischi venduti.  

La metafora scacchistica è data dalle 26 “pedine” animate che il cantore della maglietta fina muove sulla scacchiera della sua vita, un palco bianco di 450 metri quadri a pianta centrale, animato da proiezioni (invisibili a chi siede in platea) su cui scorrono passato e presente, sogno e realtà. Un mondo alla fine del mondo che Claudio, dopo la diretta su Raiuno di questa sera e la replica di domani, porterà per l’Italia con tappe pure a Firenze il 16 e 17 ottobre, a Ancona il 23 e 24, Milano dal 26 al 28, Perugia il 30, Bologna il 13 e 14 novembre, Montichiari il 20 e 21. 

«Uno spettacolo totale» lo definisce lui, che nelle tre date veronesi gioca anche sui movimenti di massa di cento performer «nel quale musica, danza, arti figurative, arti circensi si mescolano così come vagheggiavano i compositori dell’Ottocento. Wagner in primis». Tutto per celebrarsi alla sua maniera nell’attesa di tornare in Riviera per il suo secondo Festival della Canzone Italiana da “dittatore artistico” e poi riprendere il tour dal 16 marzo, a Livorno, con tappa il 24 aprile ancora a Firenze ed epilogo in Arena. «In questi mesi avere qualcosa da fare la sera servirà a non pensare in maniera ossessiva a Sanremo - ammette lui - . Sarà una bellissima distrazione fare i concerti e il mio mestiere: saprò che un lavoro ce l’ho anche dopo il Festival». Lo vedi che l’idea di fermarsi per tre sere tra le pietre millenarie dell’Arena esalta il divo Claudio, facendogli riscoprire quel “centralismo” praticato in tour tra il ’91 e il 98.  «Sono più di 100 anni che questa cornice veniva tradita, trasformata da anfiteatro a teatro; il mio palco consente di riutilizzarla a 360° nella sua bellezza originaria».  

Lo show, anzi la maratona, viste le tre ore abbondanti, sembra un mix stancante, ma ben shakerato, di Zerofollie dell’amico Renato, di coreografie formato Broadway e di rappresentazioni di massa asiatiche tipo quelle dell’Arirang nordcoreano. «Questo non è un concerto qualsiasi, anzi, probabilmente non è nemmeno un concerto, ma una festa - giura Baglioni - . E racconta una storia vera, come fosse un romanzo musicale». Il racconto si dipana cronologicamente, partendo da Questo piccolo grande amore per arrivare a Con voi passando di classico in classico col sostegno di una band di 22 elementi trainata dalle grintose chitarre di Paolo Gianolio e Chicco Gussoni, puntando sui registri del concerto quando in scena c’è Baglioni da solo a tu per tu con le sue canzoni e su quello del musical quando la scena è invasa dai movimenti coreografici dei 126 ragazzi diretti da Giuliano Peparini. L’alba nucleare della copertina di Poster, l’uomo che cammina (e salta) sul filo durante Notte di note note di notte, la venusiana sulle punte, le damine con specchio telescopico, i terroristi incappucciati col pugno chiuso di Noi no, lo stuolo di figuranti con la maschera di Claudio sul volto di Sono io (l’uomo della storia accanto), i palloni rossi che volano in cielo sul finale mentre lui, con addosso la marsina da capitano coraggioso, si china al pubblico per l’ultimo saluto. E il pensiero a quel Sanremo accettato anche per «non dare l’idea che il successo dello scorso febbraio sia stata solo una botta di fortuna».

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