Divi sempre giovani, la cine-magia

Grazie a tecniche digitali gli attori vengono riportati indietro negli anni. E nel film superano le generazioni

Will Smith, 51 anni, è stato ringiovanito per interpretare il suo clone Junior

Will Smith, 51 anni, è stato ringiovanito per interpretare il suo clone Junior

Roma, 15 ottobre 2019 - "Dal punto di vista della gioventù, la vita è un avvenire infinitamente lungo; dal punto di vista della vecchiaia, un passato brevissimo": il sogno dell’eterna giovinezza per molti è vissuto come la condanna che si accompagna al tempo che avanza: forse chi si ostina nel rincorrere il sé stesso di venti, trent’anni prima, deve avere intravisto in quella sua precedente condizione d’esistenza qualcosa d’eccezionale, un fantasma di felicità così ammaliante e persuasivo che lo costringe a rimpiangerlo continuamente. O forse è bastato averne sognato la possibilità. Fatto sta che Forever young, giovane per sempre, voleva rimanerlo il Puer Aeternus di Ovidio come quel Dorian Gray senza badare alle conseguenze che subiva il suo povero ritratto; lo voleva Juan Ponce de León quando nel Cinquecento andava alla ricerca della Fonte della Giovinezza, si dice per motivi legati a questioni chiamiamole così, libertine, ma son pettegolezzi, o il nostro Cavaliere, quando si faceva inquadrare col collant sulla telecamera per tentare di attenuare le rughe. 

Ma Forever Young, ha insegnato Bob Dylan, lo si può rimanere anche a cent’anni: "Quando i venti dei cambiamenti cambiano / Possa il tuo cuore essere sempre gioioso / Possa la tua canzone essere sempre cantata / E che tu possa rimanere giovane per sempre», perché in fondo è solo questione di musica, d’anima. Ed è anche e soprattutto, oggi, una questione di cinema: de-aging è la parola inglese che descrive il fenomeno in corso e che si potrebbe tradurre – termine orripilante – con "de-vecchiamento", anti-età. Con trucco, maschere di silicone sempre più raffinate, la trasfigurazione di un divo nello stesso film dall’età giovanile a quella matura o decrepita è sempre stata un cliché, riuscito a volte bene, a volte male. 

Solo dieci anni dopo il neanche troppo convincente Brad Pitt stravecchio, mix di trucco ed effetti digitali, nel Benjamin Button di David Fincher, 2009 (2 Oscar all’eccellenze tecniche), recentemente abbiamo visto ringiovaniti all’improvviso al cinema Samuel L. Jackson in Capitan Marvel, un incredibile Micheal Douglas in Avengers: Endgame, Schwarzenegger in Terminator: Genisys, il Pirata Johnny Depp. Adesso però siamo davvero un passo oltre: lo siamo con Gemini Man di Ang Lee, in questi giorni sugli schermi italiani, film d’azione con Will Smith che è contemporaneamente il se stesso di oggi con qualche immancabile ruga e lieve avvizzimento – 51 anni – e il suo clone ragazzino, Junior, tale e quale egli stesso 22enne teenager del telefilm anni Novanta il Principe di Bel Air. Sconvolgente: per creare Junior hanno lavorato per centinaia di ore almeno 500 persone di sei diverse società, compresa la neozelandese Weta Digital (5 Oscar, anche Marvel): "A volte sembrava proprio che stessimo creando dal nulla un essere umano, non un effetto speciale", ha detto Stuart Adcock, che per Weta Digital si occupa di movimenti facciali digitali. Will Smith ha lavorato con dei sensori sopra la propria faccia, recitando in maniera diversa per il se stesso ‘normale’ e per il se stesso giovane.

Per Gemini Man è nata una tecnologia totalmente d’avanguardia, a costi altissimi. Come altissimi sono stati gli investimenti per creare almeno due delle tre versioni di Robert De Niro, 76 anni, nel nuovo The Irishman di Scorsese – già dato per vincitore all’Oscar – ovvero De Niro giovane e De Niro quarantenne, tramite le prodezze digitali – definite da brividi – della Industrial Light & Magic (Lucasfilm). Ai viaggi nel tempo, De Niro è affezionato: era lui il giovane Padrino, quando Coppola decise di raccontare gli esordi malavitosi di don Vito Corleone (interpretato però da un fintamente invecchiato Marlon Brando); era tre Noodles diversi in C’era una volta in America di Sergio Leone (’84), ragazzino (l’attore Scott Schutzman Tiler), uomo innamorato – follemente perduto e follemente violento – della ballerina Deborah e, truccato, canuto e dolente uomo anziano che ha passato gli ultimi anni così, moderatamente disperato, "andando a letto presto". Per alcuni certi tratti d’‘inverosimiglianza’ fisica dei vari De Niro nel capolavoro di Leone stanno a significare che il film è solo un sogno di Noodles, allucinato e addolcito dall’oppio. Le attuali tecniche di ringiovanimento digitale dei divi un sogno non lo sono. Sono, ai confini con l’etica, una realtà. Che ci avvicina, ora dopo ora, alle utopie dei transumanisti che negli Usa investono soldi e scienza perché gli umani diventino cyborg e non muoiano mai. Dimenticando che è la saggezza dell’invecchiamento, a volte, a farci incontrare la felicità. Quella vera, non il suo fantasma.  

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