Venerdì 19 Aprile 2024

Assalto alla Luna, la più umana delle sfide

Il razzo Artemis porta in orbita la capsula Orion: è il primo atto di una nuova missione sul satellite. Un’impresa nel nome di tutti

Il momento del decollo del razzo Artemis dalla base di Cape Canaveral negli Stati Uniti

Il momento del decollo del razzo Artemis dalla base di Cape Canaveral negli Stati Uniti

Dunque, è proprio vero. Torniamo sulla Luna, e ci torniamo pensando a Marte, ai nuovi e infiniti orizzonti dell’esplorazione spaziale. Dopo due rinvii dovuti agli enormi problemi tecnici che una sfida del genere comporta, ieri, quando in Italia erano le 7.47, il gigantesco razzo Artemis, 98,3 metri di altezza per quasi tre milioni di chili, ha acceso i motori e con un boato sentito a decine di miglia ha lasciato il Kennedy Space Center di Cape Canaveral, lo stesso delle missioni Apollo. In otto minuti e venti secondi ha bruciato due milioni e ottocentomila litri di idrogeno e altri seicentomila litri di ossigeno liquido e si è messo in orbita terrestre con in testa il suo carico più prezioso, la capsula Orion.

Poi, un’altra accensione di venti minuti, un’accelerazione pazzesca, una traiettoria impostata per usare il nostro pianeta come una fionda gravitazionale. E infine via, in viaggio verso la Luna, un viaggio che durerà 25 giorni, 11 ore e 36 minuti. Il lancio è costato, da solo, quattro miliardi di dollari, una goccia nel mare degli investimenti necessari per puntare verso Marte.

Un viaggio fatto senza uomini a bordo, per testare i sistemi e metterli perfettamente a punto per gli astronauti che si siederanno ai comandi nel 2024. Un anno dopo, o comunque entro il 2026, l’allunaggio vero e proprio. Parteciperà alla missione anche una donna. Sarà quasi sicuramente statunitense, ma l’italianissima Samantha Cristoforetti è in corsa.

Facile, oggi, chiedersi di nuovo se ne valga la pena, col mondo in fiamme, l’economia in crisi, l’angoscia del conflitto. E ancora più facile ritornare al 12 settembre del 1962, quando John Fitzgerald Kennedy lanciò il guanto della sfida col suo memorabile discorso: "Ma perché, dicono alcuni, la Luna? Perché sceglierla come nostro obiettivo? Potrebbero chiedersi, allora: perché scalare la montagna più alta? Perché, 35 anni anni fa, sorvolare per la prima volta l’oceano Atlantico?". E allora eccola, la risposta: "Noi abbiamo scelto di andare sulla Luna, noi abbiamo scelto di andare sulla Luna – scandì e ripeté – non perché sia facile, ma perché è difficile. Perché questo obiettivo servirà a organizzare e misurare il meglio delle nostre energie e capacità".

Allora la guerra era fredda. Oggi le guerre sono caldissime, e i missili cadono anche in Europa. Allora, nonostante tutte le implicazioni politiche del programma spaziale Usa, era l’uomo al centro di una missione che doveva dimostrare soprattutto superiorità. Superiorità militare, economica, perfino culturale.

Oggi, ancora e di nuovo, è l’uomo il protagonista di una sfida titanica. Titanica per i numeri (la Luna sta a 385mila chilometri da qui, ma Marte è a 225 milioni di chilometri), e titanica per il significato da dare a una parola spesso abusata: impresa. Così, mentre sul pianeta siamo otto miliardi, presto quattro esseri umani lasceranno la Terra e saranno di nuovo soli nel vuoto cosmico. Con la solitudine dovranno confrontarsi proprio come fece Michael Collins, che nel 1969 con l’Apollo 11 ruotò attorno alla Luna senza mai toccarla, per occuparsi del recupero di Neil Armstrong e Buzz Aldrin, i primi ad affondare nella polvere lunare quegli strani scarponi che tutti, da allora, chiamiamo Moon Boot.

Certo, la strada da compiere è ancora molta, e non solo in senso figurato. In questo momento, su Orion, ci sono tre manichini, fantocci dalle forme umane in grado di registrare accelerazioni, temperature, radiazioni. Uno l’hanno chiamato Campos in onore di Arturo Campos, l’ingegnere americano di origine messicana che nel 1970 ebbe una parte fondamentale per riportare a casa, sano e salvo, l’equipaggio dell’Apollo 13, con la navicella in avaria. "L’ho fatto, sì. Ma l’ho fatto insieme a migliaia di colleghi", disse per il resto della vita.

Storie individuali, storie di una comunità, storia dell’umanità intera dietro al sogno di andare a vedere com’è fatta l’altra faccia della Luna. Storie di lutti e fallimenti. Ma anche storie di fatica e riscatto, come quella di Katherine Johnson, la matematica di colore che alla Nasa negli anni Sessanta tentò di abbattere pregiudizi e razzismo: furono le sue intuizioni a consentire di calcolare al millimetro le traiettorie di rientro del programma Mercury. Per questo, oggi, è probabilmente sbagliato pensare che la capsula Orion stia viaggiando vuota verso la Luna e il futuro. Lassù, in fondo, c’è un pezzo di ciascuno di noi.

 

 

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