Giovedì 25 Aprile 2024

Arte o lusso? L’ultima moda è un triste addio

Il caso Alessandro Michele: sperimentatore coraggioso, ha reso popolare lo stile “fluido“. Dopo i record, un calo: e lascia Gucci

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di Chiara Di Clemente

"Che cosa mi ha insegnato la filosofia? Che essere uomini significa ricordarsi di quando non si era ancora umani, che compito dell’uomo è la memoria del non ancora e del non più umano - del bambino, dell’animale, del divino". Parole di Giorgio Agamben, dal saggio Quel che ho visto, udito, appreso, appena uscito per Einaudi; parole che – visto il forte legame con il filosofo reso noto dallo stilista – potrebbero persino adattarsi a riassumere il (plus)valore portato da Alessandro Michele all’interno della sua personalissima idea di moda, almeno dal 2015, l’anno in cui diventò il dominus di Gucci, fino a ieri l’altro.

"Ricordarsi la memoria del non ancora e del non più umano": sulle sue passerelle, nella sua pionieristica intuizione di fondere l’idea e la preziosa fattura dell’abito con il (meta) universo che gli gira intorno (ovvero i più disparati mezzi di comunicazione di quell’idea, dai musei ai ristoranti, dai tappeti rossi alle comunità social), Michele ha trasfuso nuova vita ai caposaldi dell’identità storica della Maison mescolandoli alla memoria del "non ancora" e del "non più umano". La memoria del " bambino che gioca" è la spericolatezza di Michele funambolo perennemente in bilico tra il Kitsch e il clown. La memoria del "non ancora"? Prima o quantomeno meglio di molti altri, è stato lui a dare diritto di cittadinanza pop – dai palchi del lusso delle élite a quelli sanremesi di Achille Lauro – alla fluidità e al senza genere, alla bellezza “brutta“, alla bruttezza bella. La "memoria del divino"? I miti romani e greci, la letteratura elisabettiana, Bisanzio, le sacre effigi. La memoria del non umano? I colpi di teatro delle sfilate “a due teste“, un citazionismo svergognato che va da Barthes e Foucault a Wes Anderson, da Hannah Arendt ai film di zombie e Blaxploitation.

Concettuale e colorato, esclusivo (perché dai prezzi inavvicinabili) ma inclusivo (perché quelle sue idee di libertà hanno spaccato le vetrine delle boutique e sparso frammenti un po’ dappertutto), Michele ha incarnato finora la famosa vecchia distinzione tra un bravo stilista e un grande stilista: quello bravo fa bei vestiti, quello grande inventa un mondo. Un mondo fantasmagorico che però, se guadagna meno del previsto, ecco che s’infrange. Arrivederci amore ciao.

Secondo il New York Times le dimissioni che Alessandro Michele ha annunciato mercoledì in tarda sera, in armonia con le parole piene d’affetto e riconoscenza del marchio del gruppo Kering, sono strettamente connesse ai numeri del terzo trimestre 2022, in cui Gucci ha raggiunto un fatturato di 2,58 miliardi di euro, in crescita del 18% (+9% su basi comparabili). Una quantità di soldi gigantesca, ma evidentemente minore rispetto ai record inanellati nelle stagioni scorse da Gucci e ritenuta "più sottotono" rispetto ad altre griffe della holding dei Pinault come Bottega Veneta e Saint Laurent. L’articolo del NYT riporta la nota di Luca Solca, uno dei massimi analisti del mondo del fashion, destinata agli investitori fin dalla mattinata di mercoledì, quando le azioni di Kering si erano già alzate solo al bisbiglio dell’imminente addio di Michele. Secondo Solca "Gucci soffre di affaticamento del marchio e i consumatori che hanno acquistato in anticipo, in particolare i cinesi, si sono annoiati per primi. Per riaccelerare, è necessario aprire un nuovo capitolo creativo" conclude Solca della società di ricerca Sanford C. Bernstein "dando credito a Kering, che ha sempre saputo in passato rianimare con successo marchi sbiaditi".

Marchi sbiaditi? Fino all’altro ieri niente o quasi sembrava più luccicante dello stile di Michele, amato dalle superstar – da Harry Styles ai Maneskin, da Jared Leto a Billie Eilish – e condiviso, anche solo per riflesso social-pop, da folle di millennials che appartengono al mondo normale in cui è certo diventato praticamente impossibile pagare le bollette – figurarsi comprare anche solo una forcina di Gucci, purché esista –, ma resta pur sempre abbordabile la possibilità di sognare su TikTok.

Sognare. Sognare un doppio sogno, doppio come i gemelli veri e i “Doppelgänger” immaginari portati da Michele in passerella. Sogno impossibile numero uno: se all’alta moda piace e conviene fregiarsi delle grazie dell’arte e dei “talenti geniali“, ne sopporti i costi, conceda loro tempo, ne assorba le discontinuità, anteponga l’uomo e il progetto al profitto immediato. Oppure sogno numero due: in un tempo di crisi, guerre, disastri sociali e climatici come il nostro, basta lussi e sprechi in generale, vintage per tutti, e via con altri interessi. È annunciata per aprile 2023 l’uscita (in tutto il mondo) del libro scritto da Alessandro Michele con Emanuele Coccia, professore di filosofia a Parigi, già autore con Agamben di un’antologia sugli angeli nelle culture cristiana, ebraica e islamica.

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