di Chiara Di Clemente
"Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla", anche perché – sostiene Annie Ernaux – "non ci sono verità inferiori". Laureata premio Nobel per la Letteratura poche settimane fa, la Ernaux è arrivata ieri a Roma, alla Festa del Cinema, nella prima tappa del breve tour italiano che la vedrà protagonista anche domani e dopodomani a Bologna (domani sera come evento conclusivo della 15ª edizione di Archivio Aperto; poi martedì 25, alle 18, nella piazza coperta della biblioteca Salaborsa). Insieme al figlio regista David Ernaux-Briot, Annie sta accompagnando il documentario, già passato a Cannes, dal titolo Les années Super-8 (Gli anni in Super 8), realizzato con i filmini di famiglia girati in 9 anni, dal 1972 all’81, dall’ex marito Philippe Ernaux, diario di una crisi coniugale. Chi si aspetta che il salto – a 82 anni – da un mezzo espressivo (la letteratura) a un altro (il cinema) rappresenti per l’autrice francese anche un “salto“ poetico, è però fuori strada: "Rivedendo i nostri filmini – chiarisce infatti la Ernaux, che nel “doc“ inanella i propri ricordi come voce narrante – mi è venuto in mente che costituivano non solo un archivio di famiglia ma anche una testimonianza dei gusti, dello stile di vita e delle aspirazioni di una classe sociale nel decennio successivo al 1968".
Se la "nostra memoria è al di fuori di noi, in un soffio piovoso del tempo", la missione di Annie è riportarla nell’identità delle persone, della società e della Storia attraverso la scrittura: "Le cose mi sono accaduta perché potessi renderne conto – scrive in uno dei suoi racconti più famosi, L’événement, sull’aborto che dovette compiere in maniera clandestina poiché l’interruzione volontaria della gravidanza era fuorilegge nella Francia del ’63 – e forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni, i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intelligibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri".
Con la Ernaux abbiamo dunque imparato che "racconto familiare e racconto sociale sono un tutt’uno": in Annie la letteratura è la vita, è la sua vita che finisce sulla pagina nella totalità, lucidamente ricomposta solo dopo essere stata dissezionata con dedizione lineare, ossessiva, crudele: i titoli di canzoni e di libri, le morti dei suoi cari, la perdita della verginità da ragazzina e l’attrazione da cinquantenne per un uomo molto più giovane, l’ingiustizia dei privilegi di nascita e dell’arroganza patriarcale vissuti sulla sua pelle, il suo tradimento da sprezzante intellettuale borghese delle umili origini familiari e di quel tradimento ogni senso di colpa, ogni vergogna. Qualunque scelta di vita – in Ernaux come in ciascuno di noi – è di fatto una scelta politica. E la politica nei libri di Annie è tanto più potente proprio perché non è mai dichiarata, fatta slogan o messa in scena, ma perché è semplicemente vissuta, e raccontata come dev’essere: atto di vita, atto dell’anima.
Di questa esistenza “totale“, il film Les années Super-8 (distribuito prossimamente in Italia da I Wonder Pictures) è dunque un altro ennesimo tassello ("Nella scrittura di un libro come Gli anni mi guidavano immagini mentali, qui – ha detto Annie ieri a Roma – erano immagini reali che dovevo contestualizzare in quel periodo della mia vita: un testo, alla fine, molto più difficile da scrivere"), come un tassello è l’amore della Ernaux per il cinema italiano, ma non è una sorpresa.
"I vostri film – ha spiegato ieri a Roma il premio Nobel – sono fra quelli che mi hanno più segnato. Penso al Posto di Olmi, La strada di Fellini, e Ballando ballando di Scola che mi ha profondamente ispirato per lo stile de Gli anni. Il cinema francese l’ho trovato spesso troppo al di sopra delle cose che raccontava e troppo parlato. Mi sono resa subito conto di quanto il cinema italiano, invece, parlasse attraverso il realismo". Perché lei lo sa: non ci sono verità inferiori.
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