Giovedì 25 Aprile 2024

Che cos'è l'anemia spaziale che colpisce gli astronauti

L'assenza di gravità comporta una distruzione in eccesso di globuli rossi, dice uno studio, e questo potrebbe complicare i piani di un futuro sbarco su Marte

L'astronauta Samantha Cristoforetti sulla Stazione Spaziale Internazionale

L'astronauta Samantha Cristoforetti sulla Stazione Spaziale Internazionale

Tra le svariate complicazioni che l'organismo umano deve affrontare nello spazio, c'è un particolare tipo di anemia caratterizzata dalla perdita di massa dei globuli rossi (eritrociti) e dalla riduzione del volume del plasma. La cosiddetta anemia spaziale è nota dall'epoca dei primi voli con equipaggio ed è secondo le interpretazioni più accreditate una risposta fisiologica allo spostamento verso la testa dei fluidi presenti nel corpo degli astronauti, in virtù della bassa gravità. Un studio appena pubblicato sulla rivista Nature Medicine ha scoperto che la questione è ancora più complessa del previsto e che lontano dalle Terra gli astronauti perdono una quantità di globuli rossi fuori dal comune.

Globuli rossi in ambiente di microgravità

Lo studio, a cura di un'equipe dell'Ottawa Hospital Research Institute (Canada), ha esaminato il profilo di 14 astronauti (11 uomini e 3 donne, inclusi 5 soggetti clinicamente anemici), che tra il 2015 e il 2020 hanno passato una media di 6 mesi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Il sangue di ogni partecipante è stato analizzato prima, durante e dopo il volo, fino a un anno di distanza dal termine della missione. I ricercatori hanno così stabilito che nello spazio il corpo umano distrugge il 54% dei globuli rossi in più rispetto a quanto succede sul suolo terrestre. Gli astronauti perdono 3 milioni di eritrociti al secondo, contro i 2 milioni che vengono distrutti e rinnovati in media nello stesso lasso di tempo in una situazione normale. La perdita extra viene parzialmente compensata da un incremento della produzione, che evita l'insorgenza di un'anemia ancora più grave.

Un lento recupero

La condizione anemica non accompagna gli astronauti solo durante il soggiorno sulla ISS. I dati raccolti hanno messo in luce che il livello di distruzione dei globuli rossi (tecnicamente: emolisi) rimane elevato anche una volta tornati sulla Terra, con i primi segni di regressione dopo 3-4 mesi. Nonostante i valori tendano migliorare con il passare del tempo, a distanza di un anno la perdita rimane comunque superiore del 30% rispetto al quadro clinico di una persona comune. Il dottore Guy Trudel, docente presso la Ottawa University e autore principale dello studio, ha sottolineato che comprendere esattamente le cause di questa anemia consentirebbe di "trattarla o prevenirla, sia negli astronauti che nei pazienti qui sulla Terra".

Conseguenze per la salute

Per quanto riguarda le ripercussioni sull'organismo, Trudel ha spiegato che "nello spazio avere meno globuli rossi non è un problema, in quanto il corpo è senza peso". Tuttavia, lo scenario cambia quando gli astronauti rientrano sulla Terra o nel momento in cui dovessero sbarcare su un altro pianeta, cosa che potrebbe accadere in futuro su Marte. "L'anemia colpisce l'energia, la resistenza e la forza, e può minacciare gli obiettivi della missione", ha detto Trudel; "gli effetti dell'anemia si sentono solo una volta atterrati, quando bisogna fare di nuovo i conti con la gravità". Più in generale, gli studiosi sottolineano l'importanza di condurre esami del sangue approfonditi per astronauti e turisti spaziali, al fine di evitare il rischio che l'anemia spaziale vada ad aggravare delle condizioni preesistenti.

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