Venerdì 19 Aprile 2024

Andare a pesca di combustibile nucleare nell'oceano

Una speciale fibra raccoglie l'uranio naturalmente disciolto in acqua, aprendo la strada a un nuovo modo di ricavare energia dal mare

(Foto: RomoloTavani/iStock)

(Foto: RomoloTavani/iStock)

Un gruppo di ricercatori del Pacific Northwest National Laboratory (PNNL), che fa capo al Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, sta cercando di produrre del combustibile nucleare in modo pratico e pulito, "estraendolo" direttamente dall'acqua di mare. Per riuscirci, ha sviluppato un filato che è capace di calamitare le tracce di uranio naturalmente presenti nell'oceano. A CACCIA DI URANIO NELL'OCEANO Il progetto è nato da una collaborazione tra PNNL e un'azienda privata chiamata LCW Supercritical Technologies, che per prima ha sviluppato una speciale fibra acrilica pensata per attirare e trattenere l'uranio disciolto nel mare. Per anni, le due squadre hanno lavorato a braccetto per cercare di ottimizzare la tecnologia, dimostrando nei giorni scorsi, per la prima volta, che da un campione d'acqua è possibile ricavare cinque grammi di concentrato di uranio, la cosiddetta yellowcake (in italiano, "torta gialla"). "Questo è un traguardo significativo", ha dichiarato Gary Gill, esperto di biogeochimica del PNNL: "Indica che questo approccio può fornire combustibile nucleare commercialmente attraente derivato dagli oceani, la più grande fonte di uranio sulla Terra". ENERGIA NUCLEARE DALL'ACQUA DI MARE Il processo di estrazione è in teoria molto semplice: il filo viene immerso nell'acqua di mare e lasciato riposare fino a quando, in modo del tutto naturale e senza bisogno di manovre aggiuntive, raccoglie le particelle di uranio a spasso nel liquido. Allo stato attuale, le concentrazioni sono molto piccole, nell'ordine di un singolo granello di sale sciolto in un litro d'acqua. Tuttavia, il materiale assorbente ha un costo di produzione molto basso e i ricercatori stimano che un processo su larga scala sarebbe in grado di competere dal punto di vista economico con i costi di prelevamento del minerale uranifero dalla crosta terrestre. Secondo i calcoli, nell'oceano ci sarebbero infatti 4 miliardi di tonnellate di uranio, più o meno 500 volte la quantità intrappolata tra le rocce; questo, dicono Gill e soci, spalancherebbe le porte a un vera e propria rivoluzione nell'industria energetica. L'equipe sottolinea comunque che c'è ancora molto lavoro da fare, e che prossimamente si tenterà anche di verificare se la fibra possa essere modificata per catturare altri tipi di elementi chimici (magari allo scopo di ripulire gli oceani dalle sostanze inquinanti).
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