Venerdì 19 Aprile 2024

Alla ricerca dell’immaginazione perduta

La lezione di Roberto Pazzi: tra gli scrittori dilaga il microautobiografismo e la sudditanza al potere tv. Ma la letteratura deve volare più in alto

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di Roberto

Pazzi

I miei consigli di scrittura, come autore di ventidue romanzi e nove raccolte di poesia, sono di assoluto incoraggiamento a dilatare la realtà, a reinventarla senza corteggiarla mai, guardandosi bene dal gareggiare con le prime pagine dei giornali, che invece a quella realtà devono assolutamente tenersi. La realtà la subiamo già abbastanza, per ventitrè ore e mezza. Scoccata l’ultima mezz’ora, spetta a noi ricrearla sulla pagina bianca, non più subendola ma agendo da protagonisti, quando abbiamo deciso di cominciare a scrivere il libro che mancava in libreria.

Mi illudo che Narrare ad occhi ben chiusi – una professione di incredulità nell’onnipotenza del visibile – conservi l’alito vivo delle mie parole a lezione, inseguendo l’illusione di riversare nel libro più di 25 anni di corsi di scrittura letteraria in varie università italiane, in Toscana, in Umbria e nelle Marche, e poi per quattro anni nella scuola di scrittura che ho retto a Ferrara, Itaca.

Da dove comincerei per aiutare un aspirante scrittore? Da una domanda che dovrebbe subito porsi finita l’opera: che io dovessi scriverla questa storia, mi era necessario, stavo male se non lo facevo, ma che un altro la deva leggere è indispensabile come a me? Perché la tabe che affligge molti narratori italiani è l’assoluta mancanza di fantasia, la paura e l’incapacità di abbandonarsi al volo dell’immaginazione, e il ricorso all’usato sicuro del microautobiografismo, narrando i fatti personali della propria famiglia, dei nonni fascisti o antifascisti, la storia dei propri amori, dei propri tradimenti, delle amanti, delle matrimoniali infedeltà, di una serie di fatti personalissimi che non assurgono quasi mai alla dignità di letteratura. Non mancano tali narcisi anche nei 12 scrittori scelti dal premio Strega.

È vero che cavare dalla propria memoria è stata la via di Proust, che ha scritto il più bello dei romanzi del secolo scorso. Ma la sua penna volgeva in universale il privato perché la sua lingua lo bruciava. Se non si ha la penna, lo Stile, di Proust si cade nel male denunciato, il microautobiografismo. Come ho predicato per anni a corsisti come Matteo Bianchi, Marco Gulinelli, Michele Balboni, Dario Deserri, Anna Chiara Venturini, Paola Gianoli, Marco Lorenzetti, Marisa Miozzi, Viviana Viviani, che poi hanno pubblicato i loro libri. Sono scrittori che hanno fatto tesoro di un consiglio, mai corteggiare la tv, mai scrivere testi come se scrivessero una sceneggiatura cinematografica o televisiva.

La Letteratura muore se si fa serva dell’immagine, precotta da serial televisivo, per vendere di più. L’immagine di Macondo se la deve dare da solo il lettore mentre legge il romanzo di Gracia Marquez, come vede la Fortezza Bastiani leggendo Buzzati o il diavolo nei panni del professor Woland in Michail Bulgakov. Perché il lettore diventa attivo regista, sceneggiatore, costumista, fotografo, della scena che lo scrittore gli ha preparato. Siamo attivi mentre leggiamo, dopo ore di passività mentre guardavamo la tv. Siamo noi i protagonisti del libro che ci incanta, noi immaginiamo il volto di Anna Karenina, noi le diamo vita, nella sua ansia di vivere un amore completo di anima e di carne, quel che non aveva mai provato.

Resta da dire che non tutto ciò che è leggibile è visibile. Non è sempre un bene per un romanzo ritrovarsi film. Lo Stile alto è inconvertibile in film. I nostri sono tempi insidiati da un eccesso di cose inutilmente viste in tv, un eccesso che atrofizza la capacità di immaginare, di fantasticare. Narrare ad occhi ben chiusi (edito da Minerva) ha la pretesa di essere un libro più orale che scritto per non perdere l’alito della vita. Socrate per non perderlo non scrisse mai una parola, e affidò solo a quella orale la sua filosofia.

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