Lunedì 23 Giugno 2025
ANDREA MARTINI
Magazine

Al Festival torna la politica. Da Teheran al Brasile ’70. La giuria premia l’impegno

Dopo anni di verdetti deludenti, l’Oro questa volta va a un autentico capolavoro . Ineccepibili i riconoscimenti a Mendonça Filho, Trier, Dardenne e Nadia Melliti.

Dopo anni di verdetti deludenti, l’Oro questa volta va a un autentico capolavoro . Ineccepibili i riconoscimenti a Mendonça Filho, Trier, Dardenne e Nadia Melliti.

Dopo anni di verdetti deludenti, l’Oro questa volta va a un autentico capolavoro . Ineccepibili i riconoscimenti a Mendonça Filho, Trier, Dardenne e Nadia Melliti.

La mente corre a sventurate decisioni del passato e quel che è normale sembra degno di grande plauso. Finalmente un verdetto giudizioso con una scala di valori adeguata, in grado di premiare il film migliore e di non lasciare fuori nessuno dei meritevoli. La Palma d’oro attribuita a Jafar Panahi ricompensa il film che ha entusiasmato fin dal primo momento. Opportunamente la presidente Juliette Binoche ha sottolineato come il premio a Un simple accident nulla abbia a che fare con le traversie subite da parte di un regime che lo ha a lungo perseguitato.

Il film è un capolavoro di ingegno, solo apparentemente rozzo nella fattura, capace di sfidare il regime e di divertire il pubblico con una vicenda grottesca narrata sul filo dell’assurdo. In grado di mostrare corruzione del paese con accenti slapstick e venature tragicomiche che valgono più di qualsiasi invettiva. Una volta scelta la Palma il lavoro dei giurati non era esaurito; anzi, qualche azzardo poteva essere messo in conto. Fortunatamente il buon senso ha reso possibile andar incontro al buon cinema.

Accanto al film di Panahi spiccavano due pellicole dirette da altrettanti registi che hanno mostrato di avere con la drammaturgia cinematografica un filo diretto. Opposte per stile e cultura ma parimenti in condizione di affascinare il pubblico. Il gran premio della giuria valorizza giustamente Sentimental Value in cui Joachim Trier fa soffiare il vento del nord. Nella casa di Oslo in cui si confrontano padre e figlia si consuma un dramma raccontato pur senza distacco sembra in cui sembra di scorgere gli echi di Ibsen e Bergman. L’altra, L’agente segreto, ha permesso di premiare con la migliore regia il brasiliano Kleber Mendonça Filho, un autore la cui fama è purtroppo inferiore al suo valore. Il suo film è un magistrale thriller, con sottofondo politico, ambientato negli anni Settanta e inspirato per intreccio, colori e suspence al cinema di Hitchcock. Il premio per la migliore regia è stato confermato e, se si vuole, arricchito dalla palma per la migliore interpretazione maschile a Wagner Moura che nel film è il ricercatore doppiamente braccato.

L’attribuzione del premio per la migliore interpretazione femminile avrebbe permesso qualche tentazione, visti i nomi ultracelebrati in lizza. L’aver scelto Nadia Melliti che nel bel film La Petite Dernière, della franco-algerina Hafsia Herzi, interpreta la ragazza di famiglia musulmana che si scopre omosessuale e che rivendica la sua identità, va a onore dei giurati perché il suo è un ruolo affrontato con tecnica e passione da un’attrice alle prime armi. Qualche lieve perplessità può sorgere nell’attribuzione della migliore sceneggiatura offerta ai fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne. Non tanto perché Jeunes mères non sia scritto con la consueta precisione quanto il dramma intenso delle cinque adolescenti viva soprattutto di regia e d’interpretazione. Ė stato comunque un modo appropriato per non lasciare a mani vuote due giganti (doppia Palma nel passato).

L’ex aequo (una formula che non ricorreva da anni) ha permesso di accostare nel premio della giuria due opere non senza merito ma relativamente convincenti: il viaggio psichedelico nella cultura electro dei ravers di Sirât del franco ispano Oliver Laxe e il il saggio cinema-antropologico al femminile di Sound of Falling della tedesca Mascha Schilinski. Infine i giurati con comprensibile decisione non hanno avuto il coraggio di non offrire un premio speciale a un film che celebra il cinema: il cinese Resurrection opera fuori misura, roboante e nondimeno incondizionato inno alla settima arte.