Mercoledì 18 Giugno 2025
RICCARDO IANNELLO
Magazine

Addio Salgado: la foto come utopia. Gli occhi della Terra e dell’umanità

Il maestro brasiliano è morto a 81 anni a Parigi: col suo obiettivo ha rivelato il mondo e i suoi dolori

Il maestro brasiliano è morto a 81 anni a Parigi: col suo obiettivo ha rivelato il mondo e i suoi dolori

Il maestro brasiliano è morto a 81 anni a Parigi: col suo obiettivo ha rivelato il mondo e i suoi dolori

"Il fotografo non va in pensione". Sebastião Salgado – che è morto ieri a Parigi a 81 anni – lo ripeteva spesso aggiungendo che non si poteva permettere quel lusso "fino a quando il potere non darà una risposta definitiva e positiva alle guerre, alle carestie, agli esodi, alle deforestazioni, alle crisi climatiche". Profondamente immerso nella natura, proprio sul concetto di Terra come fonte primaria di vita l’artista brasiliano aveva poggiato tutto il suo lavoro che fondeva arte e denuncia sociale sia con la fotografia – con le sue molteplici mostre in giro per il mondo – sia con il cinema: il documentario sulla sua opera e sulla sua coscienza etica, girato dal figlio Julian con Wim Wenders, rappresenta un capolavoro che dovrebbe essere visto nelle scuole.

Si intitola Il sale della Terra (2014) – appunto, la Terra – e coglie alcuni dei momenti più importanti della poetica salgadiana: i problemi dell’America Latina e soprattutto dell’Amazzonia; le drammatiche condizioni dei popoli africani; lo sfruttamento dei lavoratori in giro per il mondo; le grandi migrazioni umane; gli angoli del pianeta non ancora contaminati dalla modernità. Temi sviluppati in diversi libri e in mostre di grande impatto i cui titoli emblematici ripetono i concetti base e diventano mantra per chi ci governa: Terra, Africa, Genesi, Exodus, Amazzonia fino all’ultima, Ghiacciai, che si può vedere al Mart di Rovereto (dove sono esposti 54 scatti) e al Museo della Scienza di Trento (ce ne sono altri dieci) fino al 21 settembre: qui le consuete iconiche immagini grandi e in bianco e nero del fotografo brasiliano rappresentano le più vaste praterie di ghiaccio che l’uomo si sta mangiando.

Sebastião Salgado, figlio di proprietari terrieri dell’interno di Minas Gerais, era nato ad Aimorés l’8 febbraio 1944 e spinto dalla famiglia aveva raggiunto la laurea in economia e statistica dopo la quale, per fuggire dalla dittatura, era stato assunto a Parigi all’Organizzazione internazionale del Caffè; viaggiando per lavoro nel Sahel decide che deve immortalare in pellicola quei luoghi aridi e quella gente scheletrica. Nasce così dalla sua passione per la macchina fotografica e la pellicola – solo negli ultimi anni e per comodità nei viaggi passerà al digitale – un vero e proprio lavoro che presto lo farà conoscere al mondo intero, non solo come fotoreporter della rivoluzione portoghese o delle guerre coloniali in Mozambico e Angola, ma dei drammi umani e naturali che dietro quei conflitti si nascondono.

Abbandona il caffè, si trasferisce a Parigi e lavora per le più importanti agenzie fotografiche, nomi come Sygma, Gamma e Magnum, ma il suo destino non è più la cronaca in senso stretto, ma la documentazione dei drammi epocali. Ecco così che passa anni interi in Ruanda o in Amazzonia (addirittura sei alla ricerca delle tribù incontattate) e in altri sperduti luoghi della terra a cogliere l’attimo della foto che nessun altro sarà in grado di fare. Lascia le agenzie e con la moglie Lélia Wanick fonda la Amazonas Images con la quale realizzerà i suoi progetti maestosi e in un certo modo inquietanti.

Ma oltre che sul mirino della macchina fotografica il suo pensiero è rivolto all’ambiente, alla sua difesa. E anche qui non può stare dietro le quinte e nasce “Terra“ che si occupa di progetti di riforestazione nella Mata Atlantica, la grande foresta che si specchia sull’Oceano nel suo Brasile. Proprio le ultime immagini de Il sale della Terra lo ritraggono nella piantagione del Minais Gerais dove ha recuperato due milioni e mezzo di piante di più di cento specie, quelle originali del luogo, e ha riprodotto un ambiente ideale, una sorta di Paradiso: la sua Vale do Rio Doce, quella che l’ha visto nascere, è stata così fino alla fine nella sua testa come luogo da riportare alle condizioni ancestrali.

Salgado è morto a Parigi; nel 1990 in uno dei suoi viaggi africani aveva contratto una forma molto seria di malaria che l’ha accompagnato fino all’ultimo dei suoi giorni trasformandosi in una leucemia letale. Nella sua vita ha ricevuto premi e riconoscimenti in ogni parte del globo. "Sebastião – lo ricorda così l’Instituto Terra – è stato molto più di uno dei più grandi fotografi del nostro tempo. Insieme alla sua compagna di vita Lélia ha seminato speranza dove c’era devastazione e ha fatto fiorire l’idea che il ripristino ambientale è anche un profondo gesto d’amore per l’umanità. Il suo obiettivo ha rivelato il mondo e le sue contraddizioni; la sua vita, il potere dell’azione trasformativa". L’Accademia delle Belle Arti di Parigi, di cui era confratello dal 2016, l’ha ricordato come "grande testimone della condizione umana e dello stato del pianeta".