Mercoledì 24 Aprile 2024

Abolita la censura, niente tagli ai film. Ma il politicamente corretto detta legge

Franceschini libera il cinema. Eppure oggi è la cultura dominante a imporre scelte, temi e personaggi. E guai a chi sgarra

Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani

Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani

Abolita in Italia la censura cinematografica. Quella delle scene scabrose o troppo crude, in primo luogo. Dunque il burro di Ultimo tango a Parigi di Bertolucci o il sadismo di Arancia Meccanica di Kubrick oggi non sarebbero più banditi. Evviva! Ma è passato mezzo secolo. E c’è ancora qualcuno che, dopo avere visto il bacio gay del Leonardo televisivo, possa denunciare un anacronistico bigottismo? Da quanto tempo il cinema, soprattutto quello banale, casereccio, volgare dei nostri tempi, a partecipazione pubblica, ha superato i tabù nostalgici delle sforbiciate parrocchiali di Cinema Paradiso?

Il ministro Franceschini, annunciando il decreto che archivia sia l’uscita in sala di un’opera sia le imposizioni di tagli o modifiche della pellicola, sfonda una porta aperta. Figurarsi che perfino Totò che visse due volte venne ritenuto offensivo del buon costume per scene "blasfeme e sacrileghe". Il ministro dunque sfonda una porta aperta a meno che nella lotta alla censura venga considerata anche la difesa della libertà di espressione. Domanda. È lecito aspettarsi una crociata contro il politically correct da un uomo di sinistra? Magari. Contro avrebbe non solo i talebani dell’antidiscrimazione ma l’intera intellighentia di sinistra. Quella che consapevolmente o no ne va a rimorchio.

Guardate cosa sta accadendo negli Stati Uniti! Il cinema, la letteratura, il giornalismo, le università stanno soffocando sotto l’incombente pensiero unico. E il Partito democratico, che ha riconquistato Casa Bianca e Congresso, se ne fa interprete. Il mondo della finanza e delle grandi corporations si adegua. Non per convinzione, per necessità. Il business ha bisogno del potere. Eppure questa è la nazione che, tredici anni prima della Rivoluzione francese, consacrò i diritti "inalienabili e naturali"’ dell’individuo. Primo fra tutti la libera circolazione delle idee.

Accade invece che queste idee debbano passare sotto le forche caudine della deformazione culturale. Il regista cinematografico, lo scrittore, l’oratore possono descrivere il mondo non come lo vedono ma come glielo impone quella che Jonathan Friedman definisce la "cultura della vergogna".

L’Occidente si dovrebbe vergognare. Di essere nato bianco, naturalmente. E dovrebbe autocensurarsi. Se non lo fa, lo farà l’emergente Cancel Culture. Comunque riconoscere le proprie colpe non basta. Vanno cambiati il linguaggio, il vocabolario per non rischiare la riprovazione, la condanna, l’esclusione. Scrive Robert Hughes in La Cultura del piagnisteo: secondo il politicamente corretto ci si deve adeguare alle posizioni faziose dei gruppi disposti a compattarsi in una maggioranza inquisitoria.

Il saggio è del 1993. Premonitore. Ma non abbastanza. Se dici che gli immigrati non clandestini saranno benvenuti, sei un razzista. E lo sei anche se hai rivisto in televisione Via col vento, bandito da HBO. O se hai riletto gli scritti ribelli di Mark Twain, come le Avventure di Tom Sawyer, o Il libro della giungla di Rudyard Kipling o La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl. E, a proposito di cioccolato, via da molte confezioni di cacao i volti di afroamericani. A quando il termine di afroeuropei?

Il Terzo mondo non esiste. Esistono i Paesi in via di sviluppo, come la Cina del virus per esempio. I poveri sono i non abbienti. I diritti sono riferiti alla persona e non all’uomo, così come i genitori non sono più padre e madre ma genitore uno e genitore due. Il sesso sarà deciso a diciotto anni. Uno degli esempi più noti è legato alla scrittrice J.K Rowling, l’autrice di Harry Potter. Aveva scritto che le donne transessuali non sono vere donne. Omofoba. Aveva sottoscritto un manifesto in cui la Cancel Culture era definita la proiezione del politicamente corretto perché impedisce la libera circolazione delle idee. E mentre negli Stati della ex Confederazione americana venivano abbattute le statue dei generali, ricordava che la storia, bella o brutta, non può essere cancellata. Fa parte dell’identità di un popolo. I fascisti – notava – sono quelli che lo negano e che impediscono agli altri di parlare.

Scrive lo scrittore franco-russo Vladimir Volkoff: il linguaggio politicamente corretto pretende di combattere la disinformazione e invece ne è l’essenza. Spiana la strada alla Cancel Culture e questa al controllo pervasivo di una società senza dissenso. Orwell se ci sei batti un colpo!

 

 

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