Giovedì 25 Aprile 2024

"A voce alta, la poesia fa la rivoluzione"

Mariangela Gualtieri racconta “L’incanto fonico“ "Viviamo in gabba? La potenza dei versi ci libererà"

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di Lorenzo Guadagnucci

Mariangela Gualtieri all’inizio del lockdown scrisse una poesia che fece il giro d’Italia e superò le frontiere. Cominciava così: “Questo ti voglio dire ci dovevamo fermare. Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti ch’era troppo furioso il nostro fare. Stare dentro le cose. Tutti fuori di noi. Agitare ogni ora – farla fruttare. Ci dovevamo fermare e non ci riuscivamo. Andava fatto insieme. Rallentare la corsa. Ma non ci riuscivamo“. Era Nove marzo duemilaventi e coglieva il senso di sgomento e il bisogno di riflessione che albergò nell’animo di molti durante le lunghe giornate di confinamento. La poesia, a volte, scuote. Nel suo libro appena uscito – L’incanto fonico. L’arte di dire la poesia (Einaudi) – Gualtieri scrive che è arrivato il momento di fare un passo in più, di recitare le poesie a voce alta e in pubblico con maggiore frequenza e convinzione: "Ora che la lingua viene così mortificata, e le nostre vite sembrano sempre più ingabbiate, la poesia è senza dubbio la rivolta più alta, la migliore alleata, e ha bisogno di tutta la sua potenza".

La parola, i versi al centro della scena: come sarà stasera al “Kum! Festival“ di Ancona, dove Mariangela Gualtieri (con l’introduzione di Massimo Recalcati e la guida di Cesare Ronconi) proporrà un percorso attraverso le proprie liriche sul lutto.

Mariangela Gualtieri, nel suo nuovo libro parla della necessità di "addentrarsi nell’Arte orale": qual è l’origine di questo passaggio?

"L’incanto fonico è nato proprio dalla convinzione che la poesia esprima meglio la propria efficacia nell’oralità. La poesia è musica e come la musica va resa acusticamente, trasformata in onde

sonore, non basta leggere gli spartiti. In questo farsi forza sonora, richiede studio, ispirazione e accuratezza, come la musica".

Che cosa pensa delle sue poesie dette da altri, come hanno fatto per esempio Vasco Brondi e Jovanotti?

"Entrambi lo fanno con molta cura, con misura e con una certa grazia, non posso che essere contenta, e anche grata: portano la poesia a giovani che penso la frequentino molto poco e che spesso hanno solo una triste memoria scolastica".

La sua poesia Nove marzo duemilaventi ha avuto una vasta circolazione, cosa non frequente per dei versi. Secondo lei perché?

"Soprattutto all’inizio della pandemia, quando tutti eravamo più spaventati e impressionati, non c’erano parole che portassero conforto e forse quei versi hanno, per alcuni, riempito un inquietante vuoto. Credo poi, anche in base alle numerosissime mail che mi sono arrivate da tutto il mondo, che quelle parole semplici abbiano dato voce al pensiero e al sentire di molte e di molti".

In quella poesia indicava un incontro fra tutti i viventi e la necessità di fermarsi. Che ne è stato di questa... invocazione?

"Forse la pandemia ha modificato il sentire delle persone più sensibili, anche se non si riescono a trovare strategie comuni per cambiare fattivamente le cose, ed ha addirittura peggiorato la situazione per i più indifferenti. A volte la sento come una grande occasione persa e, quasi incredula, me ne dispiaccio. A volte mi pare che siamo alle soglie di un grande salto di specie, verso una ascesa, e sono fiduciosa".

Il Premio Strega ha istituito una sezione per la poesia. Sta cambiando qualcosa per la poesia nella nostra società?

"Dal mio punto di vista posso dire che c’è grande fame di poesia, come balsamo che alimenta una parte di noi molto denutrita, rinsecchita. La poesia, quando viene data oralmente, con cura, ad un pubblico in ascolto, diviene immediatamente una grande alleata. Nell’attuale panorama in cui la lingua è così impoverita, la poesia è una forza che può mettere in moto un cambiamento interiore, e questo è il primo passo verso un agire meno distruttivo e più compassionevole verso tutti i viventi del pianeta".

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