Venerdì 19 Aprile 2024

A forza di “Recovery“, addio all’italiano

Giovanni

Morandi

Chi lo chiama plan, chi found, chi fond, la verità è che non è molto chiaro cosa sia quel “Recovery fund” che alla lettera sarebbe fondo di recupero e che in italiano risulterebbe ugualmente oscuro visto il suo impronunciabile acronimo che sembra uno sberleffo, Pnrr, ovvero “Piano nazionale di ripresa e resilienza”. E peggio ancora sarebbe se Conte fosse inciampato nella “Stepchild adoption”, che non basterebbe mezz’ora per spiegare cos’è.

L’uso degli anglicismi nella politica riapre la questione se non di un nostro scarso amor patrio, di una certa carenza di orgoglio nazionale che sarebbe auspicabile per una delle lingue più diffuse al mondo. Che oltre tutto ha a che fare con un indotto economico valutato in 250 miliardi pari a oltre il 15 per cento del Pil, se pensiamo al turismo, alla cultura, all’alimentazione eccetera. Problema che se non fosse legato ad una forma di diffusa civetteria esterofila sarebbe oltre tutto di facile risoluzione visto che molte parole straniere hanno un corrispondente in italiano. E Dio sa quante sono le parole inglesi che senza una vera ragione vengono usate dai nostri politici e affini, vedi governance, job act, spread, bound, spending review, rating, default, devolution, task force, tanto per fare un po’ di esempi. Il problema non è patriottico perché se il termine inglese serve a risparmiare tempo ben venga. Ma un po’ di sana difesa dell’identità linguistica non guasterebbe. Certamente senza cadere nel ridicolo come quando nel Ventennio, (mancano esempi di lessico politico) i sandwich diventarono tramezzini, i croissant cornetti e i bar squallidi quisibeve, dove si poteva ordinare un coctaglio ma non un cocktail. Segno che peggio della promiscuità c’è il ridicolo.

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