Giovedì 18 Aprile 2024

Sua Maestà il Brunello

La storia di questo vino è frutto dell’ingegno di pochi uomini che hanno creduto in questo territorio

Nella Toscana Centrale il territorio collinare posto tra Firenze e Siena, delimitato tra il Valdarno a est, la valle dell’Elsa a ovest, il fiume Pesa a nord e l’Arbia a sud, si identifica con la zona del Brunello di Montalcino e della Valdorcia. ll paesaggio presenta viti, antiche querce, cipressi e olivi suddivisi in mosaici lambiti da strade poderali bianche che rendono ancora magico un habitat sospeso fra storia e leggenda. E da qui è giusto partire per raccontare la storia del Brunello moderno, frutto dell’ingegno di pochi uomini che hanno creduto in questo territorio e nel Sangiovese. Con il loro lavoro hanno cercato di interpretare e valorizzare questo vitigno andando contro corrente rispetto a quel «…leggiadretto sì divino Moscadelletto di Montalcino…» che era stato cantato dal Redi nel suo ditirambo.

Secondo il bolognese Leandro Alberti (1550-1631), Montalcino è «molto nominato per li buoni vini che si cavano da quelli ameni colli». Non mancarono anche gli apprezzamenti stranieri, come quello di Charles Thompson che nel 1744 dice che «Montalcino non è molto famosa, eccetto che per la bontà dei suoi vini». La stessa corte reale d’Inghilterra importava vini di Montalcino, come risulta da alcuni documenti. Nella seconda metà dell’Ottocento la storia già conta gli innumerevoli riconoscimenti che il Brunello aveva ottenuto in tutta Europa. Storie importanti come quella che vide Clemente Santi, studioso dell’agricoltura senese e appassionato viticoltore, che selezionò un particolare clone di Sangiovese, definito “grosso”, nella sua Tenuta del Greppo a Montalcino, con cui fece un Brunello nella vendemmia del 1865 che fu premiato nel 1869 con la medaglia d’argento al Comizio Agrario del Circondario di Montepulciano.

L’idea di vinificare in purezza il Sangiovese, senza ricorrere all’utilizzo di altre uve, risultò rivoluzionaria per quei tempi, poiché in tutto il resto della regione non esisteva alcun vino prodotto da una sola varietà. Quasi tutti i Sangiovesi erano infatti vinificati con cultivar di contorno come il Canaiolo Nero, il Ciliegiolo, il Colorino, il Mammolo, la Malvasia Nera e queste assemblate, talvolta, anche con uve a bacca bianca come il Trebbiano Toscano e la Malvasia. Così nacque il mito di quel vino che continuò ad avere successo anche nei primi decenni del Novecento, tanto che nel 1933, nell’ambito del concorso di poesia bacchica organizzato nell’ambito della Mostra dei vii Tipici a Siena, il poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti, presidente della giuria, dichiarò che «il Brunello è benzina»… il carburante che muove il mondo.

 

I vitigni a confronto

 

Brunello Il Brunello di Montalcino DOCG nasce dall’utilizzo in purezza del Sangiovese, uva prodotta esclusivamente nel comune di Montalcino. Altre denominazioni che interessano il territorio sono il Rosso di Montalcino DOC, la versione più giovane del Sangiovese destinato alla produzione del Brunello. Una denominazione che ricalca perfettamente l’areale della DOCG che consente alle aziende d’immettere sul mercato, a partire dal primo settembre dell’anno successivo alla vendemmia, un vino meno strutturato con un più breve periodo di maturazione.

Moscardello

Anche la produzione di Moscadello di Montalcino DOC insiste sul territorio comunale di Montalcino. è certamente il vino dalle origini più lontane nel tempo come dimostrano le notizie storiche risalenti al XVI secolo. Il Moscadello di Montalcino DOC è ottenuto dalla vinificazione delle uve di Moscato Bianco, con un saldo massimo del 15% di altri vitigni a bacca bianca autorizzati e può essere prodotto nelle tipologie Tranquillo, Frizzante e Vendemmia Tardiva. 

 

Un consiglio: Oltre ai vini la Valdorcia è rinomata per la propria produzione di olio extravergine e la raccolta di tartufo bianco