Emozioni. Cavazza. Due anime nel calice
Da una parte il Gambellara, terra bianchista punteggiata di Garganega. Dall’altra i Colli Berici, dove a fare da padroni sono...

Da una parte il Gambellara, terra bianchista punteggiata di Garganega. Dall’altra i Colli Berici, dove a fare da padroni sono...
Da una parte il Gambellara, terra bianchista punteggiata di Garganega. Dall’altra i Colli Berici, dove a fare da padroni sono i rossi. Da una parte la terra vulcanica, in quella prima propaggine vicentina che sa ancora di Veronese, con diversi echi del vicino Soave. Dall’altra i suoli calcarei e fossili, sui dolci rilievi della pianura alluvionale che si allunga sotto Vicenza.
Sono le due anime di Cavazza, due anime molto vicine chilometricamente e filosoficamente, eppure così differenti nella loro espressione in bottiglia. Cavazza, realtà familiare con quasi cent’anni di storia (fondata
nel 1928 a Montebello Vicentino), conta oggi su 130 ettari vitati complessivi tra le due tenute per una produzione di 600mila bottiglie l’anno. L’azienda è un punto di riferimento fondamentale per comprendere un’area vinicola sottovalutata, di tradizione e potenziale ma spesso in secondo piano nell’atlante del vino italiano, stretta fra territori più rinomati (Valpolicella, Garda) o numericamente più forti (Soave, Colli Euganei).
Da quattro generazioni Cavazza rivendica il valore di questo territorio, tenendo alta la bandiera della qualità nelle due principali Doc: Gambellara e Monti Berici, appunto. Un impegno certificato, tra le altre cose, dalla prima partecipazione a VinoVip, l’esclusivo evento organizzato da Civiltà del Bere riservato a cantine di un certo livello, in programma i prossimi 8 e 9 giugno a Forte dei Marmi.
Il Gambellara è la casa-madre dove tutto è partito e ancora oggi è il cuore della produzione bianchista di Cavazza. "Il territorio di Gambellara racchiude qualcosa di ancestrale – spiega Stefano Cavazza, che insieme ai cugini Elisa, Andrea e Mattia porta avanti l’azienda – i nostri vigneti affondano le radici in suoli di origine vulcanica. Il clima, con le sue escursioni termiche e le inversioni notturne, ci regala uve cariche di aromi e freschezza. In particolare con il vitigno d’elezione di questa zona, la Garganega. Produrre vini bianchi da questo territorio significa credere nella potenza della Garganega, nella bellezza delle piccole denominazioni e nella forza della terra vulcanica che dà identità ai nostri vini".
Parole che si ritrovano nel bicchiere sorseggiando il Bocara, il vino-bandiera dell’azienda, in grado di esprimere "finezza e verticalità, ma anche una forte impronta minerale che lo rende riconoscibile e autentico". Spostandosi di qualche chilometro si approda invece alla Tenuta Cicogna, dove nascono le omonime etichette di grandi rossi da vitigni internazionali quali il Cabernet Sauvignon e il Merlot, e in misura minore il Syrah, ma anche piccole perle autoctone come il Tai Rosso.
"Quando alla fine degli anni ’80 abbiamo iniziato a conservare alcune annate selezionate– racconta Stefano - non sapevamo con certezza dove ci avrebbe portato questo percorso, ma oggi con orgoglio possiamo dire che è stata una decisione lungimirante. Abbiamo scelto di credere nel potenziale di invecchiamento dei vini rossi dei Colli Berici, una zona ancora poco esplorata sotto questo aspetto, ma con caratteristiche pedoclimatiche straordinarie e varietà che sanno evolversi nel tempo con grazia e profondità. Lavorare sulle vecchie annate è anche un modo per offrire al pubblico una prospettiva diversa del nostro lavoro: ogni bottiglia conservata è una fotografia di un’annata, una vendemmia, una scelta. È la possibilità di degustare la storia della nostra azienda, sorso dopo sorso".