Mercoledì 24 Aprile 2024

Via Emilia: pane e vino per santi e peccatori

Da Federico Fellini a Pupi Avati il rito della buona tavola non solo è oggetto di narrazione ma è anche il miglior modo per rappresentare le genti di queste terre che si identificano nelle eccellenze prodotte

Via Emilia

Via Emilia

IL ROSSO IN EMILIA È FRIZZANTE, in Romagna è fermo, a Bologna …non è. Il bianco a Bologna è frizzante, in Romagna è fermo, in Emilia …non è. Così – estremizzando - si può rappresentare la complessa enologia di una regione, anzi di due mezze regioni che stanno insieme legate da un trattino che unisce e divide, assimila e marca le differenze. Storicamente luogo di passaggio, di incontro-scontro di etnie diverse e di caratteri solari/festosi oppure nebbiosi/umbratili; terre di contrasti, di vocazioni e di eccessi, di rapide fortune e di catastrofici declini, di santi e terribili peccatori. Il tutto lungo quella via Emilia che dalle terre longobarde piacentine conduce fino al mare Adriatico attraverso la Romagna bizantina; vera terra di mezzo in una Penisola che a sua volta divide/unisce l’Europa all’Africa. Persino la definizione geografica della regione è incerta: è il Sud del Nord Italia, o il Nord del Centro?

Perché il bicchiere di vino riflette tanta diversità storica, culturale, comportamentale? Perché è il degno compagno di una gastronomia anch’essa mutevole, cangiante, straordinaria, che parte solida, grassa, burrosa da Piacenza per stemperarsi cammin facendo verso il mare , passando dal maiale all’agnello, dal gnocco fritto alla piadina , dal Parmigiano Reggiano al Formaggio di fossa, dagli arrosti alle grigliate di pesce. Il viaggiator goloso trova in questa terra pane (e vino) per i suoi denti perché qui l’enogastronomia è un rito che si celebra ovunque, e non solo a Bologna – il capoluogo - che pure sta ritrovando il suo appeal turistico grazie alla fama di “città del cibo”. Ma è tutta una regione del cibo, questa, e adesso anche del vino, da quando il Rinascimento enoico del Belpaese ha contagiato anche queste terre, una volta dedite solo a produzioni di massa, anonime e indistinte (“piadina e sangiovese”, “Gnocco fritto e lambrusco”) e che adesso si sono convertite da un paio di generazioni alla vitivinicoltura di qualità, alla valorizzazione dei territori e delle uve, all’innovazione di processo e di prodotto nel rispetto dei terreni, della sostenibilità e delle pratiche biologiche e ‘naturali’.

“E’ il business, bellezza”, verrebbe da dire. Vero, ma non è solo quello. E’ che qui la tavola imbandita, il trionfo di cibi e bevande, la convivialità festosa attorno alle ricette della tradizione stanno nel dna della gente, nella memoria delle famiglie, nei ‘racconti di cucina’ delle mamme e delle nonne, nella consultazione dell’Artusi che già a fine ‘800 aveva codificato “l’arte di mangiar bene”. Non a caso Federico Fellini, sintesi di ‘romagnolità’, mette il cibo, il rito collettivo del cibo, al centro della scena. Sia per un litigioso pranzo in famiglia in ‘Amarcord’ , sia per le chiassose tavolate delle osterie romane in ‘Roma’. E di borghesi pranzi in famiglia sono ricchi i film del bolognesissimo Pupi Avati. E a tavola, tra culatello e torta fritta, Peppone e Don Camillo si riconciliavano. Cucina popolare di qualità, ricca di prodotti straordinari a denominazione d’origine (salumi, formaggi, aceto balsamico, paste ripiene), oggi consacrata dal miglior ristorante al mondo (La Francescana di Modena). Ma non fatevi sviare da carte dei vini troppo ricche di etichette fuori-regione. Andate alla scoperta dei territori vocati del Sangiovese romagnolo (Coriano, Predappio, Modigliana), delle bollicine fragranti del Pignoletto dei Colli bolognesi, delle nuove declinazioni spumantistiche del Lambrusco modenese (Sorbara o Grasparossa) o di quello reggiano o parmense, delle suadenti Barbere piacentine, dell’Albana secca o passita e del dolce Vinsanto di Vigoleno. Il territorio è la nuova frontiera del vino. Lungo la via Emilia i vari territori da sempre esprimono una grande cucina; adesso ci sono vini all’altezza della situazione. Il divario è colmato, l’eccellenza fa l’en plein.