Martedì 16 Aprile 2024

Un mondo a parte, Val Codera solo natura

Raggiungibile solo a piedi percorrendo il tracciato di una linea ferroviaria in disuso che offre scorci suggestivi sul lago di Como, una volta alla meta si apre un paesaggio senza tempo con tanto di chiesetta, alpeggi in pietra e qualche rara bottega

Val Codera solo natura

Val Codera solo natura

La folla? Mai vista. Nemmeno nelle belle giornate, quando la primavera corteggia l’estate e la salita in quota diventa un piacere che richiede qualche sforzo ma non estremo. 
Del resto, non c’era proprio bisogno del Covid per scoprire l’evidenza: in Val Codera, il distanziamento sociale non è un imperativo ma una condizione abituale. Ed è una meraviglia. Meglio ancora, una sorpresa, specie anche per chi è convinto che le Alpi lombarde siano irrimediabilmente condannate al “troppo” e al “purtroppo” del turismo da caciara e da gita domenicale. Non qui, non in questa piccola vallata totalmente priva di un collegamento stradale con il fondovalle, ovvero la Valchiavenna, ma per questo motivo adorata da chi cerca il silenzio, la tregua, le atmosfere eremitiche, perfino gli aspetti naif che marcano la distanza dalle città e dalle loro nevrosi. 
 
Delicata, come ogni “specie protetta” che si merita il piccolo esercito di paladini riuniti nella benemerita Associazione “Amici Valcodera” presieduta da Roberto Giardini. E splendida come può esserlo una porzione defilata del Belpaese raggiungibile unicamente a piedi, scarpinando per un paio d’ore lungo i 5 km della mulattiera a scalini che parte da Novate Mezzola (ben 600 metri di dislivello) oppure lungo i 12 km del “Tracciolino”, viottolo creato negli Anni Trenta per ospitare una micro-linea ferroviaria per trasportare, su vagoncini a scartamento ridotto, i materiali per costruire una diga, oggi utilizzato per gli scorci panoramici sul lago di Como e per la relativa facilità, visto che si sviluppa per lo più in un contesto pianeggiante ed è raggiungibile in auto ai 900 metri della piccola località di Casten (a cui si accede da Verceia, pagando un pass di accesso per le auto di 5 euro). 
 
Una volta a destinazione, lo spettacolo è quasi himalayano: un piccolo arcipelago di frazioni dove, almeno nella buona stagione, vivono poche decine di persone (in inverno solo 7) e dove trekkers ed escursionisti vanno a cercare frammenti d’innocenza ambientale, tra alpeggi costruiti in pietra e qualche rara attività commerciali, come La Locanda (ristoro e alloggio) e l’Osteria Alpina gestita dalla signora Elena per conto dell’Associazione e dove è possibile pranzare e cenare (spesa media sui 15-25 euro), soggiornare (doppia a 90 euro in mezza pensione) e acquistare formaggi di capra, marmellata di castagne (la famosa Marronita) e funghi. 
 
Qui e là, i segni di un mondo a parte che pure non si percepisce come marginale: la chiesa di San Giovanni Battista, alcuni lavatoi, un crotto, stradine acciottolate, ballatoi, scalini scolpiti, maggenghi, case in sasso talora ingentilite da affreschi religiosi, maggenghi e il Museo della Valle curiosamente diffuso in più sedi e in tutta la valle. Scelta dalla metafora sottintesa: il paradiso non ama i limiti, i confini e gli steccati.