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L'Umbria del vino, un caleidoscopio di colori e sapori

Una piccola grande terra che vanta 21 denominazioni in 13mila ettari di vigne, per un totale di 70 milioni di bottiglie all’anno. Orvieto, Torgiano e Montefalco le capitali dell'enologia regionale

di PAOLO PELLEGRINI -
15 marzo 2023
Vigneti in Umbria

Vigneti in Umbria

L'Italia ha un cuore verde, ci ricorda da cinquant’anni fa (già, fu ideato nel 1973) il fortunato slogan-spot che meglio dipinge le suggestioni evocate dalla piccola splendida Umbria, verde di boschi e acque e prati, verde di fedi e di speranze nell’incanto delle città e dei borghi ricchi d’arte e storia e nei silenzi mistici dei luoghi di culto, anch’essi scrigni d’arte. Ma si tinge d’altri colori, l’Umbria, in un caleidoscopio-arcobaleno che coinvolge più sensi e va dal giallo paglierino all’oro, dal rosato al rosso rubino fino al violaceo intenso.

Colori di grappoli che maturano al sole e si fanno vino nel silenzio esso pure mistico delle cantine, uno dei grandi miracoli della piccola Terra di Mezzo: 21 denominazioni in 13mila ettari di campi per un totale di circa 70 milioni di bottiglie. Con tanta, lunga storia, se è vero che sotto la rupe di Orvieto – che “rende felice il viaggiatore romantico”, ne scrisse Guido Piovene – si fa vino da due millenni e mezzo, da quando gli etruschi scavavano le cantine nel tufo, e che quel vino era preferito al denaro da pittori come Pinturicchio e Signorelli, e Garibaldi con i suoi Mille lo vollero per brindare all’impresa prima di salpare da Talamone verso la Sicilia. Storia che passa attraverso l’epopea todina del Grechetto, vivace nella freschezza delicata dei fiori bianchi, poi per pionieri ed eroi come lo sono stati sicuramente Giorgio Lungarotti che di Torgiano ha fatto una piccola capitale con il suo splendido museo ricco di testimonianze lungo i secoli, o come – prima ancora – il conte Ugo Boncompagni Ludovisi che a fine Ottocento fondò l’imponente cantina Scacciadiavoli in quella parte dell’Umbria vinicola che ne sarebbe poi diventata un’altra capitale, Montefalco. Siamo ai giorni nostri, ma a Montefalco torneremo più in là perché non sarebbe giusto trascurare un altro dei punti-chiave di questo piccolo grande miracolo che è l’Umbria del vino. Ha il suo cuore in un vero castello medievale, turrito e imponente, costruito da una famiglia che era giunta in Italia addirittura al seguito di Carlo Magno, il Castello della Sala, una ventina di chilometri da Orvieto, insomma l’Umbria del bianco perché qui oltre al Grechetto e al Procanico che son praticamente autoctoni si coltivano da decenni uve internazionali. Qui, nei seicento ettari di proprietà della famiglia Antinori, è nato il primo bianco italiano affinato in barrique e perciò adatto anche a invecchiare, il Cervaro della Sala; e sempre qui è stato creato il ‘Sauternes d’Italia’, il celebre Muffato della Sala, capostipite della schiera dei vini nostrani da uve accarezzate dalla Botrytis, la ‘muffa nobile’.

Ma ora, superata la rupe di Orvieto, lambite le acque del lago di Corbara e del Tevere e sfiorata Todi, è tempo di tornare verso est. A Montefalco. Che adagiato sul suo bel colle – non per nulla ‘ringhiera d’Italia’ è il soprannome che gli hanno dato – domina dall’alto i più dolci declivi tappezzati dal verde dei vigneti e dall’argento degli ulivi. E qui si compie un altro piccolo grande miracolo. Ha almeno mille anni di storia, il vino di Montefalco. Il Sagrantino. Ma ci voleva Hollywood e lo star system del cinema per farlo esplodere nel mondo, all’inizio di questo millennio anche se la doc era arrivata nel 1979 e la docg agli inizi degli anni Novanta. Perché la splendida Catherine Zeta Jones l’assaggiò nel ristorante dei vip a Los Angeles, da Piero Selvaggio, e lo volle per le nozze con Michael Douglas. Così il Sagrantino è diventato il vino favorito di Jack Nicholson, così bagnò una cena-evento densa di star alla Mostra del Cinema a Venezia e Sharon Stone ne acquistò una magnum personalizzata da Roberto Cavalli. Sagrantino firmato Arnaldo Caprai, con Marco Caprai che ne è diventato l’ambasciatore in giro per il mondo.

E il movimento è cresciuto, i soci del Consorzio sono una settantina con 1.300 ettari e oltre 5 milioni di bottiglie e un giro da 50 milioni di euro. Ci sono anche i Lunelli, quelli dello spumante Ferrari: nella tenuta di Castelbuono si son fatti costruire il Carapace, la cantina d’archistar firmata da Arnaldo Pomodoro. Storia antica con cuori moderni.