Venerdì 19 Aprile 2024

Tra i vitigni dell’alto Tevere

di Riccardo Cotarella presidente Assoenologi e Union 
Internationale des Oenologues Pregiate varietà s’incontrano partendo dalla valle a nord di Perugia e poi via via scendendo

Il viaggio in Umbria non può che iniziare dall’Alta Valle del Tevere, posta a nord di Perugia, lunga circa 70 chilometri e larga 20-30. Un areale interessante che accoglie la Denominazione dei Colli Altotiberini DOC, che si propone nelle tipologie Bianco, Spumante, Rosso, Rosato e Novello. Tipologie che si ampliano se in etichetta è riportata la menzione del vitigno, cosa che può avvenire solo se le uve dello stesso sono utilizzate per un minimo dell’85%; vitigni quali il Grechetto e il Trebbiano Toscano e come il Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese a bacca rossa che possono fregiarsi anche della dicitura Riserva.

La zona di produzione comprende parte dei territori comunali di San Giustino, Citerna, Città di Castello, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Umbertide, Gubbio tutti in provincia di Perugia e Perugia stessa. Un areale che si estende lungo le colline di entrambe le sponde dell’alta valle del Tevere fino alla periferia di Perugia, dove i vigneti sono coltivati su terreni con tessitura siliceo-argillosa e calcareo-argillosa. Il Bianco venne citato anche da Plinio il Vecchio e poi da Andrea Bacci nel XVI secolo che espresse parole d’ammirazione non solo per il vino, ma anche per la cura riposta nei vigneti. Il Colli Altotiberini DOC Bianco viene ottenuto utilizzando le uve del Trebbiano Toscano per un minimo del 50% cui si possono sommare per un massimo del 50%, quelle di altri vitigni a bacca bianca, autorizzati. Il vino, di solito, ha un colore giallo paglierino brillante, mentre al naso si propone con sentori caratteristici e gradevoli; in bocca è asciutto, armonico di buon equilibrio, piacevole e beverino.

Le uve invece che contribuiscono, disgiuntamente o congiuntamente, alla realizzazione del Colli Altotiberini DOC Spumante sono quelle dei vitigni Grechetto, Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Nero e Pinot Grigio per un minimo del 50%, con un saldo di quelle di altri vitigni autorizzati. La base ampelografica utilizzata per le tipologie Rosso, Rosso Riserva, Rosato e Novello vede l’uso delle uve del Sangiovese per un minimo del 50%, cui si sommano come saldo quelle di quelle di altri vitigni autorizzati. Fra le denominazioni più importanti della regione vi è senza dubbio Torgiano Rosso Riserva DOCG, alla cui base vi sono le uve del vitigno Sangiovese presenti almeno per il 70% con un eventuale saldo, fino a un massimo del 30%, di uve a bacca rossa di vitigni autorizzati. L’areale di riferimento interessa il territorio del comune di Torgiano, un antico castrum romano con una posizione strategica su un colle nei pressi di Perugia, alla confluenza del Chiascio nel Tevere. Borgo antichissimo che forse prende il nome dall’antico torrione del castello dedicato a Giano, il dio bifronte. Qui si incontrano la valle umbra e la media valle del Tevere. Il vino ha un colore rosso rubino dalla solida ed elegante struttura, con sentori di marasca e mora e delicati richiami alla violetta e alla mandorla, con un finale speziato e intrigante. In bocca di solito ha una grande concentrazione, è fruttato e leggermente balsamico, ha tannini morbidi e un finale lungo e persistente. Ottimo con arrosti di carne rosse, brasati e formaggi stagionati.

A est di Perugia si trova invece l’Assisi DOC che copre un piccolo territorio che parte dalle pendici del Monte Subasio e arriva fino alla prima parte della piana alluvionale della Valle Umbra, sulle pendici esposte a sud-ovest. La fascia pedemontana si caratterizza per i terreni sciolti permeabili su conglomerati calcarei, mentre la zona collinare vede la presenza di terreni marnoso-argillosi e ricchi di arenarie. Un areale che sin dal Medioevo era particolarmente florido, come testimonia lo statuto del comune di Assisi del 1459, nel quinto libro De damnis datis, dove sono elencate una serie di disposizioni miranti alla salvaguardia dei frutti e in particolare a quelli della vite, predisponendo provvedimenti molto rigorosi verso i ladri e verso coloro che arrecano danni alla vigna: “Guai a chi sarà trovato in possesso di uva senza avere viti!”. Alla base della Denominazione Assisi DOC Bianco vi sono le uve del Trebbiano, dal 50 al 70%, oltre a una minima parte di quelle del Grechetto, dal 10 al 30%, prevedendo un saldo massimo del 40% delle uve di altri vitigni autorizzati. Denominazione che contempla anche altre tipologie come Assisi DOC Rosso anche Riserva, Rosato e Novello.

 

I vitigni a confronto

Grechetti di Todi e di Orvieto Sono i vitigni-simbolo della viticoltura umbra, sia per i riferimenti storici che per il ruolo che hanno esercitato anche in un passato recente, sulle caratteristiche dei vini di questa Regione. Appartengono alla famiglia dei Greci che, oltre a distinguersi per le caratteristiche ampelografiche, nel Medioevo venivano utilizzati per produrre vini simili a quelli importati dal Mediterraneo orientale.La distinzione nei due Grechetti (quello di Todi o gentile o Pignoletto e quello di Orvieto o Spoletino) è assodata da tempo anche se solo con l’apporto della biologia molecolare è stata accertata in modo univoco. Tra i due Grechetti comunque esiste un legame di parentela genetica. Quello coltivato nell’orvietano è il Grechetto appunto di Orvieto.Presenta una buona tolleranza all’oidio,ha una maturazione abbastanza tardiva ed una buona produttività, che lo distingue dall’altro Grechetto, meno produttivo per il grappolo dalle dimensioni minori,considerato peraltro più qualitativo. Inoltre i suoi acini sono più rotondeggianti rispetto a quelli, leggermente allungati, del Grechetto di Todi. Vinificato,sebbene raramente in purezza, fornisce un vino di buona struttura, con una elevata alcolicità ed una discreta acidità,con sentori di fiori bianchi, camomilla, lime. A causa del grappolo spargolo, nelle vendemmie tardive e negli ambienti adatti, è facilmente colpito dal marciume nobile, che in passato aveva reso famosi i vini di Orvieto. Offre le sue prestazioni migliori, data la scarsa produttività, in ambienti collinari con terreni poco argillosi, calcarei e freschi. Il vino ha profumo delicato, fruttato, secco, armonico, asciutto e persistente, con scarsa acidità. – Trebbiani toscani e di Spoleto Il Trebbiano è spesso accompagnato da aggettivi che richiamano il suo luogo di origine o di maggiore coltivazione (modenese, romagnolo, spoletino, toscano, d’Abruzzo). Un numero elevatissimo di sinonimi rendono problematica la sua attribuzione al omonimo gruppo varietale. Anche l’origine del nome è molto discutibile. Plinio cita nella Naturalis Historia, il Vinum Tribulanum prodotto in agro tribulanis presso Capua, ma già in epoca romana erano noti altri vini prodotti con questo nome in Etruria e in Umbria. Una recente interpretazione linguistica lega il nome Trebbiano al termine franco draibjo (forza interiore, rampollo, germoglio) e va attribuita al ruolo svolto dai Longobardi e Franchi nella ricostruzione della viticoltura medioevale. Foneticamente, la derivazione di Trebbiano dal vocabolo franco draibjo, è plausibile. Le fonti storiche e letterarie relative a questo vitigno sono molto precoci e numerose, a testimoniare l’importanza che questo vitigno ricopriva in passato anche al di fuori dell’Italia. Portato in Francia al tempo della “cattività avignonese” prese il nome di “uni”, con il significato in lingua provenzale, di uva precoce o Ugni blanc, dal greco eugenie (di nobile origine) varietà citate da Plinio. Le citazioni più antiche (XIII-XIVsec.) e frequenti sono prevalentemente di origine toscana ed emiliana che descrivono il vitigno ed il vino, come un prodotto di lusso accomunandolo spesso ad altri vini famosi quali le Malvasie, i Greci, le Vernacce. La prima citazione del Trebbiano spoletino è del 1878 e recenti ricerche molecolari ipotizzano una certa parentela con il Trebbiano d’Abruzzo.