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Sua maestà il tortellino, delizia regionale

La pasta ripiena è un must in tutta l'Emilia Romagna

Oltre che per la Secchia Rapita, la rivalità tra Bologna e Modena è stata alimentata nei secoli anche dalla disputa sulla patria d’origine dei tortellini, il formato di pasta ripiena ispirata dall’ombelico di Venere che entrambe le città sulla via Emilia rivendicavano come loro creazione. Alla fine dell’800 Giuseppe Ceri trovò una soluzione diplomatica dislocando il luogo di nascita a Castelfranco Emilia esattamente a metà strada tra le due province. E qui si svolge la seconda settimana di settembre la ‘Sagra del tortellino tradizionale’. Ma anche a Malalbergo, nel Bolognese, sono protagonisti di una sagra, che si tiene nei primi due weekend di giugno.
Quanto al periodo, una pergamena del 1.112 recita “Tertia pars turtellorum monachorum est” (la terza parte dei tortelli spetta ai monaci), mentre da una bolla di Papa Alessandro III del 1169 si apprende che una chiesa doveva assegnare “duaspartes turtellorum”. Dopo, nel Trecento e nel Quattrocento i “torteletti” – i diretti antenati del tortellino – erano abbastanza diffusi, almeno tra la fascia più ricca della popolazione, seppure la loro ricetta fosse ancora lontana da quella attuale. Ma la tradizione regionale presenta declinazioni totalmente diverse.
Nell’Emilia occidentale la dizione corrente è anolini (o cappelletti). Anch’essi vengono serviti con brodo bollente, ma la forma è quella di un piccolo sole, con i bordi frastagliati o lisci, mentre il ripieno può essere di due tipi: quello di tradizione “povera”, fatto di Parmigiano Reggiano e pangrattato scottato nel brodo, e quello di tradizione “ricca”, a cui viene aggiunto anche lo stracotto di carne. Nati come piatto popolare di cui si ha traccia già nel XV secolo, gli anolini hanno conquistato lo status di piatto tipico della tradizione della città di Parma al punto da essere incluso da Artusi nel suo ricettario come varietà distinta dal tortellino.
In Romagna è invece diffusa una variante di maggiori dimensioni, chiamata cappelletti, con una forma simile sebbene chiusi diversamente, e un ripieno che una terra di tanti campanili declina in modalità diverse da zona a zona. I caplèt, a Imola, sono ancora ripieni di carne, per poi cambiare appena si arriva nella zona di Faenza, dove invece comincia a dominare il formaggio. La tradizione più tipica romagnola è quella dei cappelletti ripieni di formaggio e petto di cappone oppure solo di formaggio. Nel ravennate, nel faentino e nel forlivese i cappelletti sono quelli al formaggio ripieni di parmigiano, noce moscata, formaggio morbido, come per esempio Monte San Pietro, robiola o ricotta, oltre che noce moscata e, a volte, uovo.
Nessun tipo dicarne è concesso, e vanno cucinati rigorosamente nel brodo di pollo. A Cervia le dimensioni sono maggiori che nel resto della Romagna e dentro viene chiuso un mix di formaggi e carne di cappone. Nella zona di Cesena sono diffusi quelli ripieni con formaggio (squaquerone e raviggiolo) e quelli misti carne e formaggio. A Ferrara ci sono i caplit, che si distinguono anch’essi però dai più comuni tortellini sia per forma, che per sostanza. La festa del Cappelletto Ferrarese si tiene a Vigarano Pieve a fine giugno e lì si può gustare la ricetta tradizionale. In questo caso i vari tipi di carnevanno rosolati e tritati con parmigiano, noce moscata, uovo e sale. Una cosa però li accomuna tutti: per tradizione sono il piatto tipico natalizio.

Nel Piacentino i pisarèi all’esame della suocera

Pasto tipico della tradizione contadina, i pisarèi (impasto di farina, pangrattato eacqua) vengono solitamente consumati in una minestra con i fagioli (pisarèi e fasò).In passato le suocere piacentine, per giudicare se la nuora fosse o meno adatta alproprio figlio, erano solite controllare il loro pollice destro: se presentava delle callosità, significava che era una buona donna di casa visto che questo spaghetto viene tagliato in pezzetti piccoli scavati con il dito.

La gramigna con la salsiccia

La gramigna è una pasta di farina di grano duro, farina 00 e uova, talvolta con aggiunta di spinaci o zafferano, nella versione paglia e fieno. L’origine del nome è da rintracciarsi nei semini delle graminacee infestanti: l’impasto, infatti, viene passato su una grattugia a fori molto larghi, in modo da ottenere piccoli pezzetti di impasto, da condire con salsiccia e parmigiano oppure sughi di pomodoro.

Un classico dai romani ai giorni nostri

La lasagna è una delle paste più antiche, già presente ai tempi dei romani, che la cuocevano in una sorta di pentola chiamata lasanum. La forma originaria era però più simile a uno gnocco tirato a mano sottilmente. La tradizione più recente prevede l’utilizzo di farina di grano, mentre anticamente venivano spesso impiegati anche altre sfarinati, come farro, segale, farina di castagne e simili, soprattutto in tempi di povertà. Le lasagne al forno così come oggi le conosciamo iniziano a comparire a partire dall’Ottocento, specialmente nel Sud Italia.