Martedì 23 Aprile 2024

Millenni di vino

La produzione è antica nelle Marche E le prime bollicine sono nate qui in anticipo di un secolo sulla Francia

La viticoltura nelle Marche ha un’origine lontana, risale addirittura all’approdo dei popoli giunti dalla Dalmazia attraverso l’Adriatico nel II millennio a.C. Ma è a partire dal X-IX secolo a.C., con l’insediamento dei Piceni, che si hanno le prime testimonianze della coltivazione della vite, poi sempre più diffusa. Nelle numerose fattorie di epoca romana della regione “si coltivano centinaia di vitigni” come indica Plinio che cita un vino della zona di Ancona, il Pretuziano. Anche Apicio, gastronomo del tempo, ricorda il vino “anconetanum”, prodotto con le uve delle Elvole. Nel 1596, il botanico marchigiano Andrea Bacci, medico di papa Sisto V, pubblica il trattato monumentale De naturali vinorum historia sui vini italiani conosciuti, attribuendo loro per la prima volta caratteristiche quali “potente”, “sincero”, “generoso”, “gradevole”, “aromatizzato”, “cotto”, “crudo”. Bacci predilige, come territori di produzione, il Piceno, Ripatransone, Fermo, Offida, Macerata, Cluana, San Ginesio, Osimo, Recanati, Ancona, Sirolo, Senigallia, Fano, Gradara, e come vitigni la Vernaccia, il Greco, il Lacrima, il Trebulani, le Malvasie, il Moscatello, il Vissane. Da enografo, intuisce per primo i legami tra territorio e vino, anticipando le Denominazioni di origine. E la regione è antesignana delle bollicine. Un secolo prima rispetto alla Champagne, all’inizio del Seicento, alcune zone settentrionali delle Marche si caratterizzano per la produzione di vini spumanti, commercializzati nell’ Est Europa. Nel De salubri potu dissertatio, del 1622, il medico di Fabriano Francesco Scacchi descrive le tecniche di rifermentazione che prevedono l’aggiunta di un chicco d’orzo in ciascuna bottiglia. A inizio Ottocento risalgono le prime sperimentazioni sui vitigni a bacca bianca come Verdicchio, Trebbiano e Moscatello, e su quelli a bacca nera come Balsamina e Vernaccia Nera di Serrapetrona. L’arrivo della fillossera, nel 1890, decima le superfici vitate, scese dai 170mila ettari del 1880 agli appena 60mila del 1913. Come in altre regioni, i produttori prendono atto della necessità di migliorare la qualità attraverso il nuove tecniche enologiche e un profondo mutamento agronomico degli impianti, a partire dai vigneti specializzati. Ma durante la ricostituzione viticola degli anni Cinquanta e Sessanta nella regione si continua a privilegiare la coltivazione promiscua a quella specializzata. Questo, in realtà, ha consentito di conservare un’elevata biodiversità varietale antica. Negli anni Settanta, viene finalmente avviato l’ammodernamento e così il Verdicchio, il Sangiovese, il Montepulciano, il Biancame e la Vernaccia nera diventano i vitigni delle varie Denominazioni. L’attaccamento alla tradizione e la conoscenza del valore delle risorse genetiche locali spinge anche a riscoprire varietà dimenticate come il Pecorino e la Passerina. Non solo vino. Le Marche sono un museo a cielo aperto con uno straordinario repertorio di rocche, castelli, fortezze e torri, le migliaia di chiese, abbazie, santuari, le città talora espressione di quelle “ideali” del Rinascimento. L’arte pittorica risponde ai nomi di Raffaello, Piero della Francesca e Lorenzo Lotto. La natura esplosiva e composita dona alla cucina locale una notevole quantità e qualità di prodotti, dall’olio extravergine di oliva Cartoceto Dop alla lenticchia di Castelluccio di Norcia Igp. Le ricette sposano carni e pesci gemellandoli a tartufi, cereali, legumi e verdure, giocando sulla genuinità. Un piatto su tutti, i vincisgrassi, antenati delle lasagne al forno, il cui nome deriverebbe dal generale austriaco Windisch Graetz che aveva difeso Ancona dalle truppe napoleoniche nel 1799: si caratterizzano per l’impasto che prevede oltre alle solite uova un’aggiunta di semolino, burro e vino secco come il Marsala.

I vitigni a confronto

Dal Bianchello all’ultimo regno del Sangiovese Nell’area nord delle Marche spicca il Biancame di origine millenaria, cui è dedicata la Denominazione Bianchello del Metauro DOC. Giallo paglierino con riflessi verdognoli, profumi di frutta a pasta gialla, note di fiori di acacia, gelsomino e macchia mediterranea, minerale. Accompagna piatti poco strutturati. La Denominazione Pergola DOC, dall’omonima cittadina del Pesarese, ha come base le uve di Aleatico, vitigno spagnolo giunto dai presidi iberici in Toscana. Rosso rubino brillante, riflessi di porpora, note speziate, sentori floreali di rosa e viola passite, essenze di frutti rossi del sottobosco, tannini dolci. È lungo la costa la Denominazione Lacrima di Morro d’Alba DOC. Il Lacrima, vitigno autoctono a bacca nera, deriva il suo nome dalla buccia dell’acino che, gonfiandosi, lascia ‘lacrimare’ il succo. La sua prima citazione storica risale all’imperatore Federico Barbarossa. Inconfondibile bouquet di viola e rosa, con note di sottobosco. Sposa perfettamente le tipicità regionali fino ai salami lardellato di Fabriano e ciauscolo spalmabile. Il passito ha un bel colore rosso rubino, sentori di confettura di more, ribes e prugne secche, note floreali di violetta appassita e diffusa mineralità, note di tamarindo. Il Colli Maceratesi DOC Bianco, anche passito e spumante, ha come base le uve del vitigno Ribona o Maceratino, mentre il Colli Maceratesi Rosso quelle di Sangiovese. Questo è l’ultimo territorio adriatico dove il Sangiovese si esprime estremamente bene, prestandosi anche a una grande Riserva.

Sua maestà il Verdicchio Rossi rubini È a sud di Ancona l’areale Verdicchio Castelli di Jesi DOC e Castelli di Jesi Verdicchio Riserva DOCG., base Verdicchio almeno per l’85%. Fra i migliori bianchi italiani. Giallo paglierino dorato, profumi di frutta a pasta gialla, note di mango, cannella, caramella d’orzo, anice, menta e macchia mediterranea. Dopo Fabriano, la Valle di Matelica: Verdicchio di Matelica DOC e Riserva DOCG., longevo, colore giallo paglierino, riflessi verde-oro, note di mandorle tostate, cedro e miele. Insistono sul Maceratese le Vernaccia di Serrapetrona DOCG e Serrapetrona DOC. La DOCG, per lo Spumante, ha base di Vernaccia Nera per almeno l’85% ed è unico per le sue tre fermentazioni. Il secco è rubino-granato; profumi speziati, fibra tannica vellutata, retrogusto amarognolo. Il dolce ha profumi fruttati e speziati con note silvestri . All’ombra del Conero: Rosso Conero DOC e Conero DOCG, con base minima 85% di uve di Montepulciano e, nella DOCG, anche uve di un inaspettato Sangiovese. Rubino-granata, garbata vinosità. A sud, la terra dei Piceni ospita il Falerio DOC. Uve tra il 20 e il 50% di Trebbiano Toscano per il bianco, con Passerina e Pecorino. Nel Falerio DOC Pecorino uve Pecorino al massimo per l’85% . Il Rosso Piceno DOC (Ancona, Macerata, Fermo e Ascoli) ha base Montepulciano e Sangiovese. Il Rosso Piceno DOC Superiore ha colore rubino-violaceo, note di tamarindo, cacao amaro e liquirizia. Fibra tannica evidente. Tra Fermo e Ascoli: Terre di Offida DOC e Offida DOCG. La DOC è legata al vitigno Passerina anche nelle versioni Passito, Vino Santo e Spumante. Giallo paglierino dorato, particolari sentori di pasticceria.