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Luogosanto, nettari di mare sardo da mani tedesche

di DAVIDE EUSEBI -
10 agosto 2022
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Il mare risale lento, portato dal vento che sibila tra le valli della Gallura e le attraversa con il suo carico di salsedine che si deposita ovunque: tra gli oleandri o tra gli steli di elicriso, sulle rocce di granito che mano a mano, lentamente, si snudano. La costa appare così all’orizzonte, sullo sfondo, come un blu cobalto su cui ricamare vigne boschive. Non mi era mai capitato di confondere le vigne con la selva. È accaduto a pochi chilometri dalla costa nord della Sardegna, in un posto che si chiama Luogosanto, di nome e di fatto. Qui tutto è vergine, anche i filari, che sporgono verdi tra cespugli di mirto e lentischio, avvolti come mantelli dalle foglie che li proteggono dal sole. Quando si va per vini bisognerebbe sempre osservare il paesaggio, perché dentro la bottiglia c’è il mondo che lo circonda. La valle dove Nathan Gottesdiener, illuminato imprenditore tedesco, ha deciso di fare vino, è lunga e profonda: un calanco infinito lungo cui, dal mare, risalgono nuvole di iodio, correnti salmastre gravide di influssi marini sconvolgenti, taglienti, improvvisi. Il vino ‘Siddura’ respira la sua aria e la sua terra, granito duro e ricco come i sardi che lo abitano. Come zio Jacu, pastore del posto che rivolgendosi al nuovo proprietario di questo fondo incontaminato dell’isola, gli aveva rivelato il segreto del luogo: l’acqua che lui amministrava. Così Nathan, invece di liquidarlo, ha fatto di zio Jacu il simbolo dell’azienda, con il suo volto scolpito dal tempo e dal vento e le sue mani rugose che hanno impastato questa terra dura e pura, da cui sgorgano vini sorgivi. Qualche esempio. Il Vermentino ‘Spera’ Docg 2019 sta al calice come sponda lunare con riflessi erbacei, liberando ricami olfattivi di centinella e di fogliame fresco di melissa, e un sorso dall’esito marino, come di sorgente minerale che suda il suo miele di campo. Si capisce, con questo vino, come anche una roccia possa avere un’anima. Il Carignano Bacco 2020 Isola dei Nuraghe Igt esonda mora sotto spirito con ammicco di rosa tea e sibilo di elicriso. All’ olfatto scoppia il carburo della lavanda selvatica e si svelano tracce di ribes, mirtillo e prugna spiritata. Questo vino ha un’evoluzione opulenta, gonfia di more, iodata e mentolata. Poi ci sono i Cannonau, un vitigno che qui ha connotati marini: Erema 2021 è un graffio di mora di rovo spinosa, tra tintinnio di mirtilli, tremor di lavanda selvatica sarda balsamica. Al sorso morbido e crudo, denso di amarena e ribes spremuti, con esito di bieta marittima con la sua sapidità arenaria frantumata. La versione di Erema cannonau 2016 invece è ben più complessa perché il vino è un essere vivente e muta anch’esso con gli anni: alla vista mostra un’ombra luminosa dal colore rosso rubino con precipizio granato che già rivela lo sprofondo olfattivo. In questo calice ci si muove, a volte ferendosi, tra profumi spirituali e spiritati di mirto, tracce vive su un fondo di grafite. Granito, granito lungo la trama olfattiva accesa di lava di frutti macerati e di viola del pensiero secolare. Vi troviamo la freschezza del sandalo marino e la balsamicità dell’eucalipto essiccato di Sardegna, quello che riposa su rocce di sale. L’assaggio è una lama che penetra il palato fino a giungere alla memoria, trasportando lava incandescente con detriti di mirto, bacca di ginepro ed erba erica. All’assaggio la pietra di granito levigata si nutre del suo mare giurassico, che lentamente rilascia sale arcaico, con carezza di vento iodato di lentischio. Giù, in fondo alla macchia e alle viti, il mare.