Intervista alla chef Valeria Piccini

Tanta cura e semplicità da assaporare in famiglia

Chef Valeria Piccini

Chef Valeria Piccini

Un bel pranzo senza tanto sfarzo, con ingredienti e piatti della memoria. Ma soprattutto, l’importante è ritrovarsi intorno al tavolo e dedicarsi il tempo delle festa, ricreando le atmosfere di magia che scandivano il Natale di un tempo, quando nella sua Maremma c’era più povertà ma anche più unità. E festeggiare con piatti della tradizione: ecco il consiglio e il desiderio di Valeria Piccini, due stelle Michelin ma tanta voglia di semplicità per le Feste in arrivo.

 

Che ricordi le suscitano le Feste? “Quando ero piccola non c’erano Feste grandiose in un paesino della Maremma, da più grandicella si scappava in piazza ad aspettare mezzanotte con le amiche… Natale era la festa più sentita, si stava tutti in famiglia e si faceva un pranzo ricco e godurioso perché nonno Settimio lo voleva così. Da noi non c’era la tradizione della cena di vigilia il 24, non c’era nemmeno Babbo Natale perché i doni li portava la Befana, c’era la Messa di mezzanotte perché nasceva Gesù Bambino. Ma l’atmosfera era bella e intima e non doveva mancare il vischio, per la mamma era indispensabile”.

E i piatti della memoria? “Non mancava il brodo di gallina con la stracciatella per “aprire lo stomaco”, e poi la carne di agnello perché l’avevamo in casa, e poteva esserci la faraona. Poi le lasagne, e i tortelli con ricotta spinaci e cannella, che la nonna usava anche per condirli. Cannella e zucchero, lucenti, molto natalizi”.

Continua a cucinarli? “Da 15 anni per Natale chiudiamo, la festa si passa in casa. Ma qualcosa si cucina, anche per ritrovarsi con un’amica: tortelli, lasagne, la galantina di pollo che all’epoca era molto costosa, c’erano pistacchi e carne di manzo che non ci si poteva permettere”.

Sente ancora, da chef famosa, l’emozione delle Feste? “Certo. Anche se siamo in casa, con amici e parenti, bisogna fare per bene, io ci tengo molto, ai piatti che ricordano la famiglia. E anche ai dettagli della tavola, si tirano fuori le tovaglie del corredo…”.

Che cosa vale la pena salvare delle tradizioni? “Vorrei poter salvare tutto. La tradizione cattolica, la messa di mezzanotte, e quando si esce dalla chiesa cominciare già in piena notte a preparare il pranzo, poi ritrovarsi e stare insieme. In un mondo che cambia e non sempre ti offre tranquillità mi piacerebbe fermare quel momento di sogno”.

E che cosa, invece, manderebbe in pensione? “Qualche regalo di troppo. La speculazione arida e commerciale. Star bene insieme si può anche senza spendere, il valore dell’incontro è impagabile”.

Come consiglia di vivere questo che non sarà un Natale “normale”? “In famiglia. Una festa anche umile senza tante spese, pur di poter essere tutti, visto il disastro che sta costando tante vite.. Una festa tranquilla ma unita senza bisogno di fuochi d’artificio, e in salute”.

Un menu da suggerire? “Aprire con salumi toscani e crostini di fegatini, un consommé con la stracciatella, lasagne che non hanno mai costi eccessivi, carne al forno e dolci toscani, meglio se fatti in casa. Ci si può sbizzarrire, tra ricciarelli, cavallucci e panforti”.

E Capodanno? “Lo stesso. Un cenone più lungo, ma senza strafare”.

Che cosa chiedere a Babbo Natale? “Vorrei che ci si svegliasse tra qualche giorno e il Covid non ci fosse più, e si potesse tornare piano piano alla normalità. Ha devastato il mondo”.