Mercoledì 24 Aprile 2024

Intervista allo Chef Marco Sacco

Due stelle Michelin dal 2007 col Piccolo Lago a Mergozzo e un’altra recentissima con il Piano 35 a Torino nel grattacielo progettato dall’architetto Renzo Piano «La nostra è storia di terra di confine che si contamina con Lombardia e Svizzera: i piatti per i miei ospiti nascono dai colori che vedo e dai profumi che sento»

Chef Marco Sacco

Chef Marco Sacco

Conviene immergersi – metaforicamente, quantomeno oggi – nelle acque fredde e cristalline del Lago di Mergozzo, a Verbania, o raggiungere il 35° piano del grattacielo progettato dall’archistar Renzo Piano a Torino dove la corolla delle Alpi si staglia maestosa alla vista e dove lo spettacolo della natura, tra le placide acque lacustri piuttosto che tra le innevate montagne incantate, pare regalarci quella limpidezza di sguardo che andiamo cercando in questi tempi tribolati. E dove sarà il top chef Marco Sacco, due stelle Michelin da parecchio tempo (2007) col suo ristorante Piccolo Lago a Mergozzo (VB), cui se n’è aggiunta un’altra, recentissima, con l’omonimo “Piano 35” nel capoluogo piemontese, a guidarci lungo i sentieri impervi di una riflessione in cui la parola speranza non dovrà risuonare con quel retrogusto vuoto e stucchevole: perché sarà solo da un confronto lucido e onesto con una situazione che è e rimane drammatica, che potrà apparire credibile la scommessa dello chef Sacco di puntare su quel legame viscerale con la realtà che lo circonda, sulla Natura nel senso più ampio e profondo.* Classe 1965, Marco Sacco è spirito e battitore libero, legatissimo alla moglie Raffaella «la vera anima del Piccolo Lago» ci dice, già nonno di due bambine, ma anche con un passato nella nazionale di Windsurf, con cui ha partecipato agli Europei e poi ai Mondiali: «Ho sentito il vento sul lago – racconta ispirato – poi un giorno mi sono immerso e allora ho visto i pesci. Non vado più a vela, ma in cucina per diventare chef stellato, dissi a mio padre, uno dei miei due maestri perché mi ha donato la passione per questo lavoro. L’altro è stato il grande chef francese Roger Vergè, con cui mi sono formato, e che mi ha insegnato i due aspetti più importanti per una cucina stellata: la ristorazione gourmet è impresa; si può e si deve fare business. Ma mi ha insegnato anche il rispetto e l’educazione quando si sta in una brigata con 40 cuochi». Oggi che tutte le nostre certezze vacillano qual è il suo stato d’animo? «Tra tutte le strutture io ho 80 dipendenti. E questa situazione ci ha colti alla sprovvista, soprattutto perché si sta trascinando da tempi lunghi. Dopo la consueta pausa invernale, l’11 di marzo dello scorso anno stavamo per aprire con il Piccolo Lago. Avevamo già provato i piatti, ben avviata la formazione dei ragazzi. Abbiamo chiuso dopo una settimana. A giugno abbiamo riaperto per poi richiudere. Noi che viviamo di organizzazione e pianificazione, anche con un raggio di due anni, ci siamo resi conto della precarietà e questo ci ha creato angoscia. Nella ristorazione di qualità la marginalità è bassa. Dobbiamo produrre e vendere piatti e drink. Il panico è legato all’agonia dell’imprenditore che si deve rapportare con fornitori, affitti, dipendenti, insomma con gli altissimi costi di gestione. E tuttavia io resto fiducioso». Il suo pare un colpo di scena perfetto: come può apparire credibile? «Durante la chiusura mondiale, il tempo libero che non ho mai avuto ha rivestito per me un ruolo spirituale, quasi mistico. Durante i pochi mesi di apertura mi sono reso conto dell’importanza del contatto umano di cui ancora oggi avverto la mancanza. Senza i turisti americani sui nostri laghi ho scoperto il valore dei clienti di prossimità: di come un romano, un toscano o un siciliano può scoprire il nostro territorio e noi, poi, il suo. Da ambasciatore della candidatura della città di Verbania a capitale della cultura 2022 [scelta poi caduta su Procida, ndr] ho capito come la cultura non si riduce al solo pur grande dipinto. È anche il nostro lago di Mergozzo, tra i più puliti bacini d’acqua dolce. Cultura è la spettacolare cascata del Toce, la seconda più alta in Europa. O la nostra gloriosa storia industriale con le sue centrali idroelettriche che servono poi la Pianura Padana. Sì, la nostra è storia di terra di confine che si contamina con la Lombardia e la Svizzera. Dalle vetrate del mio ristorante vedo colori, sento profumi che trasformo poi in piatti e che preparo per chi mi viene a trovare». Passa insomma dal territorio la strada per uscire dalle secche della grande crisi?  «Sì, dobbiamo diventare “local” per vincere la sfida della globalizzazione. E certamente dobbiamo rispettare di più la natura. Ma senza identità finiamo solo per sfruttare il territorio. Per la candidatura della mia città, Verbania, ho studiato un piatto con un pesce invasivo, il gardon, che è entrato nel lago Maggiore e si è mangiato le alborelle. A differenza dell’alborella il gardon non ha però valore economico. Mi sono chiesto allora come valorizzare questo pesce in modo che ci fosse un ritorno per il pescatore. L’ho studiato con gli ittiologi e in cucina con i miei ragazzi: la carne è buona, ma difficile da gestire. Ne è nato un piatto che rispecchia la mia filosofia: la polpetta di gardon, un brodo alla tailandese realizzato con gli scarti, del riso Carnaroli e limoni neri dell’Oman. Un piatto di un territorio vivo che si contamina». Qual è invece la zavorra che ci lasceremo alle spalle? «Le cose superficiali cui davamo importanza. Il dire di sì a tutto. Dobbiamo fare una grande selezione e tenerci ben stretta la libertà del tempo». Su che cosa deve puntare oggi chi nutre ambizioni nell’alta cucina? «Su due aspetti: la qualità del prodotto, stimolando l’intera filiera e ben sapendo che noi ristoratori siamo in mezzo, tra il consumatore e il produttore. E poi sulla professionalità, il saper fare bene il nostro lavoro». E che cosa dire invece a un giovane cuoco che voglia varcare la soglia di una cucina blasonata come la sua? «Un ragazzo che viene da me deve regalarmi la sua vita. Da uno a tre anni. Perché io gli dono la mia. Come comincerai – gli dirò – il mio obiettivo sarà quello di farti cambiare lavoro. Intendiamoci: quella del Piccolo Lago è una comunità, c’è la foresteria, si gioca a ping pong, calcetto, si fa il bagno nel lago, la sera si beve una birra. Tutti, tranne gli stagisti, sono a busta paga. Ma questo è un lavoro in cui devi credere altrimenti è solo fatica ed è meglio fare altro. Solo il 10 per cento ce la fa: costoro, però, io li avrò resi dei veri cuochi: come Christian Balzo, executive chef di Piano 35, Silvestro Zanella, mio braccio destro, Paolo Griffa ora con la stella a Courmayeur o Andrea Tranchero che gestisce un lavoro molto importante in Australia». Con “Castellana” firma un concept ristorativo a Hong Kong, portando il Piemonte in Cina: come si gioca fuori casa? «Il segreto è l’autenticità che è tanto più apprezzata visto che il cinese sta girando il mondo e sa che cosa è la qualità. Amo ovviamente i prodotti della mia terra, ma non mi faccio condizionare: lavoro crostacei come i Percebes, sono intrigato dal Perù che ha un microclima come l’Italia, ma girato al contrario. Do lavoro a una decina di famiglie peruviane con i loro straordinari frutti della terra. Dell’Oriente, insieme ai prodotti, mi affascina lo stile così diverso dal nostro». Dunque non è il momento per tirare i remi in barca? «Macché [ride, ndr], sto giusto firmando l’apertura di nuovi locali».

 

Il ristorante

DA VERBANIA A TORINO

Con il suo ristorante Piccolo Lago a Mergozzo (VB) – due stelle Michelin da 15 anni – Marco Sacco è l’autentico ambasciatore, gastronomico e non solo, di Verbania e del suo ricco territorio di eccellenze eno-gastronomiche che vanno dal prelibato formaggio d’alpeggio Bettelmatt ai salumi quali la mortadella Ossolana, presidio Slow Food, al prosciutto crudo della Val Vigezzo. Ma lo chef del Piccolo Lago è anche punto di riferimento quale presidente dell’associazione da lui fondata “Gente di Lago e di Fiume” che riunisce imprenditori, pescatori e istituzioni per promuovere il pesce d’acqua dolce e le sue differenti specie. A Torino sorge il suo “Piano 35”, ristorante da quest’anno stellato, all’interno della serra bioclimatica che si sviluppa tra il 35° e il 37° piano del grattacielo Intesa Sanpaolo ideato da Renzo Piano: lo accompagna il figlio Simone, giovane stella della mixology. A Hong Kong Marco Sacco firma il concept ristorativo “Castellana”, dedicato all’alta cucina piemontese.

Piccolo Lago Temporaneamente chiuso via Filippo Turati 87, Verbania Tel. 0323.586792

Piano 35 Temporaneamente chiuso Grattacielo Intesa Sanpaolo, Corso Inghilterra 3, Torino Tel. 011.4387800