Intervista chef Giancarlo Perbellini

Lo chef veronese è uno dei talenti più brillanti dell’alta cucina italiana: pochissima tv, tanto lavoro per piatti che sembrano semplici ma non lo sono

chef Giancarlo Perbellini

chef Giancarlo Perbellini

Idee alte e piedi ben piantati per terra. Giancarlo Perbellini è un raro concentrato di fantasia, concretezza e infinita energia. Due anni fa ha aperto un ristorante a Milano e uno nel Bahrain. L’anno scorso ha ricevuto prestigiosi premi per l’innovazione, per le capacità manageriali, per la qualità della sua pasticceria. E si è pure sposato. A 55 anni, il cuoco veronese è uno dei talenti più brillanti dell’alta cucina italiana. Sempre protagonista, mai borioso mattatore. Pochissima tv, tanto lavoro, garbo e misura, precisione maniacale in piatti che spesso sembrano semplici ma non lo sono affatto.

Va di moda sostenere che una cucina d’autore deve essere riconoscibile. La sua lo è?

“Non dovrei dirlo io ma, sentendo i commenti dei clienti, i nostri piatti si distinguono per certe vene dolci e per i sapori molto netti”.

Dicono che lei non usa il freezer e il frigo.

“Non è proprio così. Non usiamo celle frigorifere, la spesa dobbiamo farla ogni mattina. Abbiamo scorte per due o tre giorni al massimo, il pesce arriva il mercoledì e il giovedì”.

Un buon piatto invernale nel suo menù?

“La renna. L’ho scoperta vent’anni fa a Helsinki. In Finlandia viene macellata in dicembre. Ho cominciato a cucinarla da tempo, ora l’abbiamo riproposta per brevi periodi. Altro piatto particolare è il piccione con purè di mandorle”.

E un piatto primaverile?

“Il bouquet di pesci, crostacei e verdure. È un’insalata di asparagi glassati con tre piccoli pesti di pomodoro, acciughe e olive, abbinata a crostacei saltati e pesci scottati”.

Il pomodoro è una sua antica passione.

“Per un sacco di anni mi ha anche accompagnato come firma. Ultimamente l’ho un po’ lasciato. In questo momento nel menù vegetariano abbiamo un grande pomodoro essiccato e farcito con ricotta affumicata, servito come una panzanella, con un pane bagnato nell’aceto e un olio di erba cipollina e di peperone”.

Da qui a marzo che pomodori dobbiamo comprare quando andiamo a fare la spesa?

“Comincia il momento del camone, poi piano piano arriveranno gli altri. La stagione del pomodoro dura nove mesi, si arriva fino a novembre col piennolo”.

Leggo nel suo sito che lei ha rotto con gli schemi classici. Quali?

“Il modo di presentarsi. In genere un ristorante come il nostro è molto posato, impettito. A Casa Perbellini suoni alla porta, ti apparecchiamo la tavola al momento, i ragazzi hanno la giacca e il papillon ma anche i jeans e le scarpe da ginnastica. Abbiamo un po’ infranto le regole sulla classicità del ristorante gourmet. Con la cucina a vista la gente può capire come nasce un piatto e come si svolge il servizio”.

Lei è anche un grande pasticciere, con famiglia celebre nel ramo. La millefoglie, il pandoro...

(ride) “Sì, tanti lo dicono, ma il pasticciere di ristorante non è il pasticciere da negozio. Sono due mondi diversi. Nella parte ristorativa sono contento di quello che facciamo, abbiamo avuto riconoscimenti, ma nella produzione da asporto sono un pasticciere medio”.

Bisogna darle atto che a Verona, nel suo ristorante di punta, lei è molto presente. Ma che cosa c’è di Perbellini negli altri suoi locali?

“A Casa Perbellini mi trovano 95 volte su cento. Oggi, ad esempio, arrivo alle 13 ma arrivo. Negli altri ristoranti c’è un’impostazione dell’idea, un metodo che vuol dire qualità, ricerca, tentativo costante di approssimarsi alla perfezione. Nelle nostre locande, a Milano o a Verona, interpretiamo una cucina italiana col mio gusto, con i miei occhi. Ci sono rivisitazioni, a volte ripropongo vecchie ricette di un repertorio piuttosto ampio. Faccio questo mestiere da 41 anni, qualche piatto buono l’ho azzeccato anch’io. Ogni tanto lo riciclo”.

C’è un’idea che ha invidiato a un collega?

“Più di una. Ma la svolta, che poi mi ha spinto a fare il mio ristorante, è stata quella di Joël Robuchon col suo Atelier. Si ritirò per anni dalla ristorazione e poi aprì quella genialata delle tapas gourmet al banco. Dopo una decina d’anni si snaturò un po’, in qualche suo locale mise i tavoli, ma è stato sicuramente un rivoluzionario. Mi hanno colpito meno le rivoluzioni degli spagnoli, anche se nel tempo hanno portato qualcosa. Il sifone, ad esempio, fu un passo avanti sotto il profilo organizzativo e igienico. Maestri come Ferran Adrià ci hanno aperto gli occhi sulla metodologia, ma non mi hanno insegnato tanto, perché sono sempre stati molto astratti”.

Per tanto tempo abbiamo sbirciato nella cucina francese, in quella molecolare, nella fusion e nella nordica. Ora dove sta andando la cucina italiana?

“In Italia, finalmente. Massimo Bottura ha fatto uno sconvolgimento mondiale, ha finalmente sdoganato la cucina italiana come espressione di altissimo livello. Oggi dall’estero ci guardano con un’attenzione incredibile. Resta un grosso problema di base: a differenza di Francia e Spagna, non abbiamo un adeguato supporto delle istituzioni. Ci sono i presidi Slow food, ma non c’è tutela e valorizzazione delle filiere. Lo Stato non ci difende. In America dilaga il parmesan, le mozzarelle le fanno nel New Jersey. Non dovrebbe succedere”.

Lei viaggia molto. Il suo luogo del cuore?

“New York. La detestavo, poi ho lavorato là per cinque mesi. Non mi fa impazzire a livello gastronomico, non c’è mai una pulizia di sapori, tutto è piegato ai gusti americani. Ma è una città che dà una carica energetica incredibile”.

C’è un ristorante dove vorrebbe andare o tornare?

“Quest’anno ne ho provati due che avevo in testa da tempo: Alchemist a Copenaghen e Ultraviolet a Shangai. Mi manca ancora Frantzén a Stoccolma. Tanti me ne parlano come di un’esperienza unica. C’è un banco e qualche tavolo, come a Casa Perbellini. Devo anche dire che, dopo aver girato tanto, ho meno stimoli. Mi pare che ormai non ci sia molto di nuovo. Forse bisogna aspettare un altro ciclo”.

La sua cena di ieri?

“Meglio non parlare dei miei pasti nei giorni di lavoro. Sono sempre frugali e di corsa. L’ultima cena vera è stata in un ristorante di pesce”

Lei ebbe anche un premio come cuoco di pesce.

“Sì, nel 1991. Tutto quel che ho fatto è nato da lì. Ricevetti centomila corone danesi che allora erano 30 milioni di lire. Altri 30 me li prestò mio suocero e comprai un terzo di un ristorante di Verona che tuttora è in grande salute: il San Basilio alla Pergola, rimasto poi a un mio socio. Con quello cominciai a vendere e comprare locali. Comunque, oggi nei nostri menù degustazione ci sono più piatti di pesce che di carne”.

Con tutto quello che fa, sa che cos’è il tempo libero?

“Cerco di ritagliarmelo. Le domeniche sono sacre. Faccio un po’ di jogging e molto divano”.

 

Il ristorante

Ospiti a casa  Perbellini Casa Perbellini, due stelle Michelin, è il ristorante di punta del gruppo creato da Giancarlo Perbellini. Il cuoco è nato a Bovolone, in provincia di Verona, il 28 novembre 1964. Ha fatto esperienze importanti al San Domenico di Imola e in diversi grandi stellati francesi. Il ristorante ha sede nel centro di Verona. Vi lavorano 11 persone per una ventina di coperti. Propone una cucina raffinata e moderna, legata alla stagionalità e alla tradizione. Carta ampia e diversi menù degustazione. Il menù “Assaggi” (nove portate) costa 156 euro a testa più i vini. Nel 2018 lo chef ha inaugurato il ristorante La Pergola nel lussuoso The Gulf hotel a Manama, capitale del Bahrain. Nello stesso anno a Milano ha aperto la sua Locanda bistrot in via Moscova. Altre sono in arrivo in Sicilia e a Bologna. Perbellini è proprietario, gestore o socio di numerosi locali in Italia e all’estero (sei a Verona). Ristorante  Casa Perbellini Piazza San Zeno 16 Verona Tel. +39 0458780860 [email protected] - www.casaperbellini.com Chiuso domenica e lunedì

 

I numeri 2 le stelle Michelin conquistate con il ristorante veronese Casa Perbellini dove il cuoco ci tiene a essere praticamente sempre presente 9 le portate del suo menu degustazione che costa 156 euro ai quali va aggiunto il prezzo dei vini. Undici persone lavorano per una ventina i coperti