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Etna Doc, il vino di montagna che ha stregato l'Italia e l'Europa

di PAOLO PELLEGRINI -
29 novembre 2022
Vigne alle pendici dell'Etna

Vigne alle pendici dell'Etna

Sua Maestà ‘A Muntagna, ovvero quel mix potente, straordinario e suggestivo di terrore e di adrenalinica eccitazione che si scatena alla visione di incredibili pirotecnici effetti speciali, nei giorni e soprattutto nelle notti di forte attività. Ma non solo: l’Etna è anche vita, è crescita silenziosa ed eroica proprio su quei terreni, le sciare, antiche colate laviche di magma ormai rappreso, con scheletri di pietre o di sabbie vulcaniche. Natura che toglie, natura che dà: lo sapevano anche gli antichi abitanti di questa parte della Sicilia, già quasi tremila anni fa, che sulle pendici dell’Etna poteva nascere il vino. Da viti che per secoli si sono coltivate e allevate con lo stesso metodo, alberello etneo o egeo perché ce lo portarono i Greci, ma anche ad alberello maritato, o al massimo a spalliera. Viticoltura di montagna, dunque viticoltura eroica, quella che oggi sulle sciare dell’Etna, tra i 350 e i 1.000, con qualche picco fino ai 1.100 metri di altitudine, produce 4 milioni e mezzo di bottiglie, in larghissima parte vini da vitigni tipici, per non abusare sempre del solito ‘autoctoni’ oggi anche troppo di moda. Si chiamano Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, i rossi, e in dialetto i nomi suonano musicali e antichi, Niureddu Mascalisi – il secondo vitigno per diffusione in Sicilia dopo il Nero d’Avola, quindi ormai sparso per tutta l’isola – e Niureddu Ammantiddatu per il ‘mantello’ delle foglie che protegge il grappolo; e poi i bianchi, il Carricante detto così per la grande produttività, e da ultima la Minnella, e per chi capisce un minimo di dialetto la similitudine suona simpatica e maliziosa. Uve che ci sono e c’erano di sicuro nel 1435 quando a Catania nacque la Maestranza dei Vigneri. C’erano quando il primo dei Benanti, un bolognese, arrivò a Catania inviato da Amedeo d’Aosta, e nel 1890 quando Giuseppe Benanti avviò la viticoltura amatoriale nella tenuta di famiglia a Viagrande. Allora, a fine Ottocento, la provincia etnea era la più vitata della Sicilia con i suoi 90mila ettari; poi la fillossera, le eruzioni, ma anche le tasse del Regno e la convenienza di altre colture hanno cambiato la storia, a metà anni Ottanta gli ettari erano ridotti a 14mila, oggi la Doc Etna si estende su circa 1.200 ettari coltivati da 390 aziende di cui l’80 per cento ha meno di 2 ettari, in 133 ‘contrade’ che sono in pratica una sorta di Unità geografiche aggiuntive. E che fanno guardare alla Muntagna e alle sue vigne come a una sorta di Borgogna d’Italia, lo pensano i piccoli ma anche i big che negli anni sono arrivati da tutta la Sicilia ma anche dal Piemonte e dalla Toscana a fare business con i vini delle sciare. I Vigneri dell’Etna però resistono. Merito di un vero e proprio vate, il principe degli enologi siciliani Salvo Foti, che grande mano ha anche nei successi di Benanti, il nome storico, ma a dare il la alla rinascita, all’età moderna dell’Etna vinicolo sono stati anche tre imprenditori scesi da nord: Marco De Grazia, americano-fiorentino (ed è soprattutto suo il paragone Etna-Borgogna); il romano Andrea Franchetti, scomparso nel dicembre 2021, che ha maturato l’esperienza nelle vigne toscane di Trinoro; il vulcanico e carismatico belga Frank Cornelissen. Accanto a loro è cresciuto il movimento, e ci sono i Vigneri, e ci sono i biologici e ‘naturali’, e ci sono i big: e la Muntagna regala dalle terrazze arrampicate sui suoi fianchi un caleidoscopio di diversità tra rosso di annata e riserva, bianco, rosato e spumante. Ogni fianco un carattere, tutti resi caratteristici dai suoli drenanti, dal sole, dalla vicinanza del mare, dalla vetustà delle viti che arrivano a 100-140 anni d’età, dalle escursioni termiche notte-giorno mitigate appunto dal mare ma anche dai venti, in specie il ‘mungibiddisi’ a est. Li troveremo nel calice speziati, fini, profondi e floreali a nord; a est di preferenza i bianchi di alta quota, eleganti e longevi; a sud est eleganti ed equilibrati, a sud ovest di nuovo in alta quota, qui potenti e importanti. Tutti figli della Muntagna, il vulcano più alto d’Europa. Che si gira a piedi, in mountain bike o con la Littorina, il trenino storico bianco e rosso che ti immerge in un mondo d’incanto.