ECCELLENZE PUGLIESI

Eccellenze pugliesi

Eccellenze pugliesi

In termini di volume, proviene dal Tacco d’Italia qualcosa più della metà dell’olio di oliva tricolore. Un primato che irrora pomodori, finocchi, carciofi, friarielli, asparagi, i distintivi lampascioni e rammenta un altro settore di punta della economia e delle tavole pugliesi, l’ortofrutta, alla base delle più illustri preparazioni culinarie regionali: dalle orecchiette alle cime di rapa ai ciceri e tria. Con il contributo della pasta, la cui genesi si trova principalmente nel Tavoliere, all’estremo settentrionale. Non c’è da sorprendersi se uno dei dolci più caratteristici, la farrata, bandiera di Manfredonia, si perfeziona anche con grano (o farro) bollito. Certo è che chiunque si raffiguri la Puglia pensa –a ragione- ai frutti di mare che vengono consumati crudi o al massimo con uno spruzzo di limone e fanno la gioia di chi ama i gusti marini decisi. Fa loro da pendant la carne di cavallo, consumata in quantità pro capite ben superiori che altrove: nelle famiglie che guardano con benevolenza alla tradizione non v’è domenica senza brasciole.

1.

PROSCIUTTO DI FAETO

Una delle piccole grandi capitali del prosciutto d’Italia è Faeto, villaggio adagiato sulle pendici dell’Appennino Dauno. Forse hanno contribuito all’ottenimento di un prestigioso prosciutto le sue radici franco-provenzali. Di certo il diffuso allevamento di suini dal vello nero e allevati alla stato semibrado, reinseriti a metà degli anni Novanta, sommato al microclima –Faeto si trova a un’altitudine di 900 metri e vi scorre accanto il fiume Calore- concorrono a mantenere alta la reputazione. La salagione è realizzata in base al peso: per ogni kg i cosci stanno due giorni sotto sale. In seguito vengono lavati con acqua e aceto e messi a riposare. Si procede alla sugnatura, cioè a ricoprire la parte scoperta con sugna, sale, pepe e farina, e alla stagionatura, calibrata anch’essa su base ponderale: un mese per ciascun kg. La stagionatura avviene senza il bisogno di celle di asciugamento. Il sapore è forte e marcato.

 

2.

CAPPERI DELLE TREMITI

Pochi alimenti rientrano nella famiglia dei prodotti mediterranei più del cappero. Versatile in cucina, si usa per insaporire vivande, colorare piatti o dare corpo alle ricette, specie marinare. Di recente la polvere di cappero ha fatto ingresso nella ristorazione. Le isole Tremiti sono luogo di nascita e crescita di capperi davvero ghiotti. La ragione di questa bontà risiede forse nella vicinanza degli arbusti alla costa e all’influsso del mare. Gli spruzzi d’acqua salata garantiscono ai capperi delle Tremiti una sorta di salatura naturale che rende talvolta inopportuna l’aggiunta di sale. In alternativa la salatura può essere leggera e durare pochi giorni. I capperi delle isole Tremiti si presentano sodi, minuti e con un retrogusto quasi dolce. A giudizio degli abitanti dell’arcipelago i migliori provengono dalle due isole disabitate: Capraia (fu Capperaia?) e Pianosa. Anche in località Architello la raccolta è comunque garantita e pregiata.

 

3.

BURRATA DI ANDRIA IGP

Una volta tanto le diverse cronache sulla nascita di un prodotto tipico, che oggi sfoggia l’IGP europea, sono certe e coerenti fra loro. Fu tale Lorenzio Bianchino Chieppa, casaro della Masseria Piana Padula, a inventare la burrata nel periodo tra le due guerre mondiali. La zona era ben nota per la produzione di manteca, ovvero caciocavallo dal cuore di burro e l’ingegnoso formaggiaio la prese ad esempio riempiendo un involucro di mozzarella con mozzarella sfilacciata affogata in un mare di panna. Pastosa e morbida all’interno, compatta e levigata all’esterno, la burrata di Andria IGP ha sapore dolce e delicato (burratadiandria.it). L’ultimo scià di Persia Reza Pahlavi ebbe modo ci conoscere la burrata al pranzo ufficiale organizzato in suo onore a Villa Madama il 19 agosto 1948 e durante i suoi soggiorni romani. Ne fu ammaliato a tal punto che il gossip del tempo informa di velivoli del Trono del Pavone in atterraggio a Bari il giovedì per assicurare la presenza di burrata freschissima sulle tavole imperiali l’indomani.

 

4.

CAPOCOLLO DI MARTINA FRANCA

Durante i secoli del Regno di Napoli, Martina Franca era nota per essere luogo di lavorazione delle carni suine allevate in Salento e in Puglia più in generale. I norcini martinesi acquisirono una certa rinomanza, forti del contesto di cui naturalmente godevano: un ambiente fresco, ventilato e secco. La particolare condizione climatica e l’arte del personale hanno generato la tradizionale produzione di un insaccato ricavato dalla fascia muscolare del suino collocata tra il capo e la zona vertebrale, il capocollo. Dopo la rifilatura i capocollo vengono inseriti in una salamoia di vin cotto ed erbe aromatiche. La sosta permette di assumere un gusto gradevolmente silvestre. Segue una leggera affumicatura con legno di fragno, processo necessario a conservare integro il salume. Ciascun pezzo ha un peso che oscilla tra i 2,5 kg e i 4 kg per la gioia degli amanti dei gusti forti.

 

5.

PASTICCIOTTO DI LECCE

Il pasticci otto è l’essenza stessa d’inizio giornata per qualsiasi leccese. Non esiste bar, caffetteria, pasticceria che non proponga ai clienti questa pasta frolla (ha necessità di strutto nell’impasto) ripiena di crema pasticcera in sana concorrenza con meno autoctoni cornetti o brioche. Con quel nome così impacciato, l’idea corre a un dolce caotico e lezioso, dal gusto e dalle forme barocchi. E invece il pasticci otto è un piccolo tortino ovale, semplice e immediato. Il nome lo vezzeggia, lo corteggia, caldo e acquolinoso, pronto ad aggiungersi ai piaceri mattutini del caffè o del cappuccino. Antica è la rivalità con Galatina, che ne rivendica la paternità, ma è nel capoluogo che il pasticci otto ha raggiunto fama ed è qui che migliaia d persone ogni mattina iniziano le proprie attività accomunati da una colazione a base di questo dolce.