Martedì 23 Aprile 2024

Eccellenze Piemontesi

A causa della scarsità di cacao per l’embargo napoleonico a Torino iniziano a usare la nocciola tonda per il cioccolato mentre a Biella i pasticceri s’inventano le raffinate miacce

La genialità italica applicata al cibo trova in Piemonte una delle massime espressioni. Sotto embargo da parte di Napoleone, i cioccolatieri di Torino iniziarono a utilizzare la nocciola tonda (quella che oggi beneficia della tutela europea con il nome di Nocciola Piemonte IGP) per confezionare cioccolato in scarsità di cacao. Correva il 1806, nasceva il Gianduja e di lì a poco avrebbe avuto avvio anche la saga del cioccolato spalmabile, protagonista della storia sociale e gastronomica mondiale. Raffinatezza che si ripete a Biella, città dove le antiche miacce (cialde ottenute da una pastella di acqua e farina cotta tra due piastre arroventate), opportunamente riviste, vengono dai pasticceri guarnite di cioccolato. Altro che wafer… A ben guardare, anche il piatto di Vercelli, la panissa, è un modello di adattamento in condizioni di limitatezza. Il riso, concepito come sostituito del pane, viene accompagnato da salame d’la duja e dai fagioli, ovvero dalla carne dei poveri. Aprendo la disputa con la paniscia di Novara, con la quale le differenze sono tante ma sottili, a iniziare dalla varietà di riso per quello che alcuni scambiano per un… semplice risotto.

1 TOMINO DI SARONSELLA

Il tomino è una piccola formaggetta che fa parte della tradizione casearia piemontese, prodotto da latte vaccino o di capra, o misto. La preparazione di minute forme di formaggio dalla sagoma circolare risale probabilmente a tempi remoti in quanto poteva realizzarsi anche nei nuclei familiari che possedevano pochi capi di bestiame. Ne esistono pertanto numerose varianti, talvolta aromatizzate, che negli ultimi decenni si sono moltiplicate, barattando la purezza contro la fantasia del casaro. La località Saronsella in Comune di San Sebastiano da Po ha acquisito rinomanza grazie ai tomini prodotti nelle cascine: 8 cm di diametro, 2 cm di scalzo e peso di 100 grammi. Sono apprezzati per la crosta morbida, sottile e dalla pasta cedevole. Una volta asciutti vengono conservati in strofinacci per una decina di giorni. In alternativa, trascorsi 4 giorni dalla produzione si inseriscono in una mistura di olio, aceto e peperoncino: si definiscono tomini elettrici.

2 MELONE DI ISOLA SANT'ANTONIO

L’areale intorno a Isola Sant’Antonio, nell’Alessandrino, è celebre per la coltura del melone retato: a partire da metà Novecento i terreni sabbiosi con buone dotazioni d’acqua, ma con temperature calde d’estate, sono l’ambiente ideale per il suo sviluppo. Così nei mesi di luglio e agosto la raccolta impegna le aziende superstiti, quelle cha negli ultimi anni hanno provveduto al ricambio generazionale. I meloni crescono a pieno campo o in micro serre. Con la scorza solcata da reticoli in rilievo, da cui deriva il nome, e con venature verdi, i meloni reticolati sono oblunghi o rotondi dalla polpa arancione molto profumata. Al classico utilizzo di questo melone come frutto da antipasto o da dessert affogato nel vino Moscato, si affianca anche quello per la realizzazione di confetture, gelati e persino risotti.

3 BRUZZET

Non aveva dubbi Plinio il Vecchio: tra i migliori formaggi quello cebano di latte di pecora. Ceva è stata per secoli lo sbocco commerciale dei formaggi provenienti dalle Langhe intorno. È quindi lecito ritenere che la delimitazione geografica dell’illustre studioso potesse interessare l’areale dei Comuni oggi autorizzati a produrre uno dei formaggi più antichi d’Italia, il Murazzano DOP. A questo formaggio si deve l’àncora di salvataggio di una particolare razza ovina, delle Langhe appunto, assai ridotta numericamente. Con lo stesso latte si produce il bruzzet: nel latte si inseriscono rami di fico privi di corteccia e il contenitore viene coperto da un telo. Si provvede a rigirare il contenuto due volte al giorno per una settimana ottenendo una sorta di yogurt che si consuma sul pane o sulla polenta (cascinaraflazz.it).

4 SALAME DI PATATA

Nelle società attanagliate dalla fame si trasferisce a ingredienti di minor pregio la sapidità della carne. Tanto che agli inizi del Novecento il salame di patata era assai comune nel Canavese. Oggi, sconfitta la fame, il salame di patata rappresenta il recupero della tradizione e pertanto viene rivalutato. Come un secolo fa le patate vengono bollite e passate nel tritacarne insieme alla stessa quantità di carne, di cui metà magra e metà grassa. L’insacco avviene in budello naturale e il consumo è rapido, entro due settimane. La produzione si concentra tra ottobre e marzo: a questo salume è legato il rito della vendemmia poiché il salame di patata era e continua ad essere la merenda dei raccoglitori d’uva, spalmato sul pane tale quale o grigliato. Chi ha più tempo, lo usa anche come ingrediente di frittate.

5 FAGIOLO DI SALUGGIA

La coltivazione del fagiolo rosso di Saluggia gode di grande reputazione, spesso vanificata dall’assenza sul mercato di quantità sufficienti a rispondere ai desideri della domanda. Ne hanno fatto una star del gusto le peculiari caratteristiche organolettiche, senz’altro dovute alla terra rossa e soda resa fertile dalla capillare rete di irrigazione. La riconoscibilità del fagiolo di Saluggia avviene a prima vista: beige con striature ramate, dalla forma… slanciata. Comodo per l’agricoltura intensiva il periodo di coltivazione: la semina avviene dopo la mietitura dell’orzo, la raccolta a metà settembre. Fagiolo ambito e ricercato, che ha precorso i secoli. Pare infatti che si coltivi a Saluggia già dal 1495, appena in tempo per sbarcare dalle Americhe. Insomma, un protagonista della dieta settimanale, ricco di proteine, povero di sodio e ricco di fibre di vecchia data.