Martedì 23 Aprile 2024

Eccellenze marchigiane

Anche a tavola cambia l’orizzonte spostandosi dalla costa all’Appennino Dalle versioni di brodetto alle infinite varietà di carni accompagnate da olive e legumi

I quasi 200 chilometri di costa restituiscono alle Marche un singolare primato, quello dei brodetti. Ciascuna località che si affaccia sull’Adriatico vanta la preparazione ideale e originale, da Porto San Giorgio a Pesaro. Come esempio, a Fano dall’11 al 13 settembre si celebra BrodettoFest (festivalbrodetto.it), kermesse dedicata all’emblema culinario della Città del Carnevale. Bastano però i 30 chilometri che separano Ascoli Piceno dal mare per affermare il predomino delle carni, come avviene nel ripieno delle celebri olive. Anche i salumi trovano un collocazione privilegiata sulle tavole marchigiane: dal guanciale di Mercatello sul Metauro al celebre salame di Fabriano e, più a sud, il salame spalmabile. A Visso, nella bottega di Giorgio Calabrò, si ampliano gli orizzonti con la versione sperimentale, metà porco metà pesce, avendo protagoniste le trote del fiume Nera. La presenza di legumi è più frequente mano a mano ci si avvicina alla dorsale dell’Appennino e l’olio, presenza parallela ai grassi suini nella cucina del nord regionale, prende decisamente il sopravvento da Ancona in giù.

1. CARNE DI BOVINO DI RAZZA MARCHIGIANA Tutto cominciò con le invasioni barbariche del IV e V secolo, quando venne introdotta in Italia una razza bovina adatta al lavoro e alla fatica. Nel corso del tempo, attraverso una serie di incroci con le razze Chianina e Romagnola, si ottenne la razza Marchigiana. Solo nel 1928 furono interrotti gli incroci e fissati i caratteri particolari della razza: massa possente, mantello bianco per difendersi dal sole e cute nera e spessa contro gli attacchi delle irradiazioni solari e dei parassiti. Apprezzata per il lavoro fino a metà del secolo scorso, con la massiccia meccanizzazione del lavoro dei campi la Marchigiana è stata convertita in ottimo animale da carne. Nel 2003, insieme alla Chianina e alla Romagnola, ha ottenuto il riconoscimento IGP con la denominazione Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale (vitellonebianco.it).

2. CICERCHIA DI SERRA DE’ CONTI Il consumo di cicerchie in Italia è in costante calo, ma c’è un paese dove questo legume dalla forma irregolare e dal colore che va dal paglierino al beige è la stella della gastronomia locale, offrendo anche opportunità di lavoro ai giovani. A Serra de’ Conti, nell’Anconetano, la cicerchia viene coltivata sulle colline intorno alla cittadina murata su circa 11 ettari. Le tecniche di coltivazione non ammettono l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi e che si basano sull’uso di ciò che offre la natura: concimi organici, insetti utili e varietà di semi più resistenti. Per la sua preparazione bisogna lasciarle molte ore in acqua. La ricetta più golosa prevede che, dopo l’ammollo, le cicerchie siano unite ad un soffritto classico di sedano, aglio, carota e scalogno coperte d’acqua e fatte bollire per due ore, infine frullate con patate e brodo vegetale. Arricchiscono crostini.

3. FAGIOLI GIGANTI DI ARQUATA DEL TRONTO Antonio Filotei era il macellaio di Pescara del Tronto, rasa al suolo dai terremoti del 2016 (sosteniamoarquata.it). Sugli scaffali della bottega, dagli anni Sessanta, si trovavano i fagioloni bianchi, pregiata coltivazione delle sponde limose del Tronto. La cremosa bontà del legume, di cui si è preservato il seme da tempo imprecisato, si accompagna alla facilità di coltivazione, in quanto le piante si arrampicano sulle frasche, e di essiccazione, che non richiede particolari accorgimenti. Anche nelle aree vicine si è tentata la coltivazione, senza risultati accettabili. La raccolta avviene a ottobre e il consumo maggiore si registra durante le festività natalizie come minestra o insalata. La forma e il colore ricordano i fagioli Spagna, benché la dimensione sia maggiore.

4. OLIO EXTRAVERGINE DI MIGNOLA Se l’albero di ulivo è considerato sacro in numerose civiltà, la varietà Mignola è senz’altro una varietà… celeste. Papa Pio VIII durante il corso del suo breve pontificato, tra il 1829 e 1830, stabilì incentivi ai sudditi di Cingoli, il borgo di cui era originario, che mettessero a dimora piante di Mignola. Dopo un secolo e mezzo tocca al parroco di Troviggiano, frazione del Balcone delle Marche, riportare alla ribalta la Mignola fondando una cooperativa, Verdolio, che avesse l’obiettivo di valorizzare la cultivar. Ora sono un centinaio i soci che raccolgono a mano le olive una volta giunte a corretta maturazione. L’extravergine Olio del Priore offre al naso un fresco profumo erbaceo e di frutta tropicale mentre in bocca è complesso: esplode con note amare e termina con una decisa nota piccante.

5. TROTA FARIO DEL FIUME NERA È storicamente provato che nel fiume Nera le trote erano presenti in abbondanza sin dall’antichità. Basti pensare che già nel XIV e XV secolo gli Statuti di Visso, la cittadina nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini attraversata dal Nera, contenevano norme che regolamentavano la pesca e tutelavano il fiume. L’allevamento delle trote è un’attività molto diffusa. Sebbene le pratiche di ripopolamento con individui selezionati in allevamenti di altre zone d’Italia o estere abbiano causato l’imbastardimento del ceppo originario, la trota fario rimane la specie dominante, forte della riproduzione spontanea e sostenuta dai ripopolamenti. L’ambiente caratterizzato dal acqua pulite, limpide e con tasso di inquinamento nullo consente di ammirare gli splendidi colori di questo pesce, la cui taglia va da pochi etti al chilogrammo.