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Dove il gusto si trasforma in emozione

di PAOLO PELLEGRINI -
25 luglio 2021
Pizza chef preparing pizza at the restaurant

Pizza chef preparing pizza at the restaurant

Quarantaquattro ristoranti stellati, di cui ben sei con due “macaron” assegnati dalla temuta e agognata Guida Rossa Michelin: la maggior parte sta sulla costa, con veri fenomeni del gusto come Sorrento che di stellati ne conta tre contro i due ciascuno di Amalfi, Ravello, Positano, Paestum. Ma poi scopri che uno ne trovi nella regale Caserta, addirittura due a Telese e uno a Vallesaccarda, nel Sannio, assai lontano dal mare, e un bistellato fiorisce a Brusciano, alle spalle del Vesuvio. Piccola premessa per dire che non a caso la Campania è una capitale del gusto. Lo dicono i numeri: sette prodotti con il marchio Dop, sei con l’Igp, ma ben 457 contrassegnati con la sigla Pat, Prodotti alimentari tradizionali: uno in più della Toscana, l’elenco più lungo di tutto il territorio nazionale. Ma i numeri, freddi e aridi, non bastano. Il gusto è emozione: in quella lista ci sono liquori, carni e pesci, salumi, formaggi, frutta del campo e del bosco, ortaggi tuberi e legumi, pani e paste, celeberrimi piatti dolci e salati, sughi e salse. Qualcuno magari noto solo a chi vive in zona o giù di lì, moltissimi che hanno fatto ormai il giro del mondo, e allietano tavole di case e ristoranti, tavole delle feste, colazioni al bar a tante latitudini. La pizza, il babà e la sfogliatella, certo. Ma non solo: casatielli e sartù, gattò e scialatielli, crocché, zeppole, struffoli, taralli, roccocò... E la pastiera, l’inimitabile, commovente, regale, sacra e divina pastiera, con la gelosa ricetta della mamma della nonna della bisnonna, e quell’allegra filastrocca, invero e naturalmente tutta napoletana, che la celebra come pochi saprebbero: “È nu sciore ca sboccia a primmavera, e con inimitabile fragranza soddisfa primm ‘o naso,e dopp’a panza. Pasqua senza pastiera niente vale: è ‘a Vigilia senz’albero ‘e Natale,è comm ‘o Ferragosto senza sole”... Ci facciamo un giro, per la Campania del gusto? Virtuale, ahinoi, ché bello e godurioso sarebbe altresì farselo dal vivo, e fermarsi in ogni dove. A ogni profumo, a ogni sapore, a ogni tentazione. Partiamo da Napoli, per ricordare che qui appunto sono nate la pizza e la sfogliatella (in due versioni, l’aragosta di sfoglia e la frolla), come pure il babà. Ma qui nasce ‘a pummarola, e a onta del nome anche la parmigiana di melanzane, e la “genovese”, e il fatidico polpo “alla luciana”. Che non è assolutamente una signora o signorina con quel nome: va letto lucìana, accento sulla i, è il polpo preparato alla maniera dei pescatori di Santa Lucia, il quartiere, quello che “sul mare luccica l’astro d’argento”. Vogliamo continuare il giro? Cetara con la colatura di alici, Mondragone con le mozzarelle (eh già), Gragnano con i suoi mitici pastai, Ischia con il coniglio di fosso... E ci vorrebbe del tempo. Tanto tempo. Ma dite la verità, come lo spendereste, meglio di così?
UN CONSIGLIO

I castagneti di Montella Irpinia sono un patrimonio da tutelare. E anche da conoscere con una visita decisamente open air

IL CIBO
Che sapori tra Paestum a Vico Equense Maledetto Covid, che ha rovinato tutto. E ha fatto saltare due degli eventi più gettonati dal popolo dei gourmet. Ma torneranno, la Festa a Vico e Le Strade della Mozzarella di Paestum. A Vico Equense, 20mila anime, “antipasto” alla penisola sorrentina, il più denso concentrato di stelle Michelin escluse Milano e Roma (solo Vico ne vanta ben tre), è il bistellato Gennarino Esposito a richiamare 400 chef pronti a deliziare migliaia di appassionati con finger food di tradizione ma di altissima qualità. A Paestum, e siamo nel Cilento dove la bufala è regina, tornerà Le Strade della Mozzarella, evento ideato e animato dai critici gastronomici Barbara Guerra e Albert Sapere: anche qui, legioni di chef a raccontare il made in Italy attraverso uno dei suoi prodotti tipici più famosi.
LA RICETTA

Genovese il raguetto del Medioevo

Genialità e curiosità, ecco due aspetti principe della golosa gastronomia campana. Esempio classico: si chiama “genovese”, ma con Genova non ha molto a che spartire. Si tratta di quello che Ippolito Cavalcanti definì “il raguetto” nel suo trattato “La cucina teorica pratica”. Che è del 1839, mentre le origini della “genovese” sarebbero più antiche, anche molto: c’è chi la vuole far risalire al Medioevo, a un trecentesco “Liber de coquina” in cui compare proprio questa ricetta, che secondo altri invece si chiama così perché quel cibo sfamava i marinai genovesi che si fermavano nel porto con le loro navi. Ma, leggende a parte, una è la certezza assoluta: nella preparazione vanno usati il vermouth e non il vino bianco, e poi la cipolla Ramata di Montoro, tipica dell’Avellinese.