L’ego di Barcellona può apparire debordante ma, il suo, è un narcisismo perdonabile. E del resto, nulla è più beneaugurante di un buon bicchiere di rosso o di bollicine, sotto le volte del pittoresco mercato La Boqueria, a lato delle Ramblas, o tra gli scafali di Vila Viniteca, nel vicino quartiere Born. La bella città di Gaudí e di Miró è una sorta di lasciapassare. E a quel punto, il viaggio attraverso la Catalogna dei grandi vini diventa un’esplorazione iniziatica. A cominciare dalla regione di Penedès, tra paesaggi delimitati dalla balneare Sitges e dalla vicina cordigliera dove cresce il Xarel-lo, vitigno emblematico, assieme ad altre varietà bianche come il Macabeo, un vero Eden per gli enoturisti alla ricerca di tenute storiche e blasonate come la Codorníu, la più antica cantina spagnola con i suoi 26 chilometri di cantine disposte su 5 piani, paradigma di questo territorio al pari della graziosa Sant Sadurní d’Anoia, capitale della spumantistica locale e serbatoio del mitico Cava prodotto esclusivamente con metodo classico.
Per inerzia si punta a sud, verso la zona vitivinicola del Priorat, terra di aspri pendii che dimostrano la caparbietà dei suoi vitigni e l’eroismo di chi li coltiva. Fino alle alla meraviglia delle delle “Terre Alte” tagliate da vecchie linee ferroviarie in disuso, tra Tortosa e Puebla de Hijar, dove affrontare scelte amletiche tra il Centre Picasso, i frantoi che cadenzano la “Strada dell’olio d’oliva” e la fotogenica e sorprendente cantina di Cèsar Martinell a Pinell de Brai, in una micro-regione che produce gli ottimi bianchi Garnatxa e dove l’iperbole ha la forma di un tempio e poi di un’altro ancora. Edifici strani per essere luoghi di culto. E infatti, non lo sono. O almeno, non di tipo mistico-religioso. Piuttosto, enologico, come è giusto che siano le belle cantine innalzate agli inizi del XX secolo, quando agricoltori e proprietari decisero di unirsi in cooperative per uscire dalla crisi provocata dalla piaga mondiale della filossera e commissionarono la costruzione di queste imponenti “cattedrali del vino”, grandiosi edifici in stile “modernista”, affidandole al genio di personaggi come Antoni Gaudí, Lluís Domènech i Montaner, Cèsar Martinell e alla loro idea di luoghi di grande estetica ma anche di sicura funzionalità. Come la tenuta dell’Espluga de Francolí e Vila-Rodona nella Costa Daurada. E la strepitosa cooperativa di Gandesa, orgoglio de “Terres de l’Ebre” e passaggio obbligato per entrare in quel territorio speciale dove il fiume Ebro dilaga nel suo grande delta, dando vita ad un paesaggio naturalistico dominato dall’acqua e dalle terre paludosi; dove anche Bacco s’inchina al predominio delle varietà risicole e degli uccelli migratori; e dove l’uomo s’ingegna, allestendo postazioni per il birdwatching e proponendo una cucina ittica bagnata dai grandi vini catalani in grado di mettere a tavola curiosi e gourmet. Luogo estremo o forse solo insolito. Per la gente di Barcellona, una sorta di “fine del mondo”. Per chi lo abita, il luogo dove il mondo e la stessa Catalogna iniziano.