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Accadde in Italia: il silenzio di Craco borgo fantasma che vuole vivere

di GIUSEPPE DI MATTEO -
26 settembre 2021
Craco (3)

Craco (3)

A Craco ci arrivi dopo aver percorso una serie di tornanti accarezzati dallo sguardo sereno dei calanchi, solchi argillosi generati dalle acque piovane che disegnano un paesaggio lunare. Ad annunciare il “borgo fantasma” in provincia di Matera, che ha attratto registi come Mel Gibson e Francesco Rosi, è la torre normanna, che veglia sul reticolo di viuzze tipicamente medievali - un tempo piene di vita, sapori e animali - e su alcuni splendidi palazzi signorili. La storia è nota: nel 1963, a causa di una frana, il borgo cominciò a svuotarsi. Molti degli abitanti vennero prima sistemati in luoghi di fortuna, poi si trasferirono a valle, dove, a una decina di chilometri di distanza da quello che oggi appare ancora come un presepe, ma senza occhi, venne tirato su in pochi anni il comune di Craco Peschiera. Altri si stabilirono nel quartiere Sant’Angelo. L’alluvione del 1972 e il terremoto dell’80 furono la mazzata definitiva. Oggi a Craco di fatto non vive più nessuno, ma il borgo non è completamente disabitato. L’ultimo dei crachesi è infatti un pastore irriducibile che, nonostante le continue denunce e diffide, resta lì con i suoi animali. «Avevo 7 anni quando avvenne la frana». Mario Pio Aliani, 64 anni, gestisce un chiosco di panini di fronte all’ingresso del paese, che da oltre un anno non è visitabile per motivi di sicurezza. Prima di aprire il cancello dei ricordi si concede un sorso di birra. «Stavamo giocando a pallone. All’improvviso il ponte e la strada non c’erano più». La paninoteca l’ha aperta qualche anno fa per offrire qualcosa ai turisti. «Ma una noce in un sacco non fa rumore». Lo dice pensando ai giovani che se ne vanno. Per arrivare a Craco Peschiera ci vuole un buon quarto d’ora. Il paese ha l’aspetto di un dormitorio provvisto dei servizi essenziali. Fu costruito per garantire maggiore comodità ai crachesi, ma non tutti sono contenti di starci. Soprattutto Domenica Collevecchio, 72 anni, proprietaria dell’unica tabaccheria del posto. Quando parla della vecchia Craco sembra quasi donargli una nuova vita: «Il periodo più bello era la festa di san Vincenzo - sospira -; per strada c’erano tanti cavalli e tacchini. E si respirava aria buona. Di sera ci si sedeva accanto alle donne anziane e si imparava a cucire». Niente a che vedere con la monotonia di Craco Peschiera, poche centinaia di anime, dove le giornate scorrono tranquille ma negli occhi di chi ci vive è scolpita una sentenza senza appello: questo è un paese senza storia. Ne è convinta Pia Di Dio, 58 anni, che sta al sant’Angelo. Un altro dormitorio di case popolari, ma almeno più vicino al centro storico. «Di Craco mi manca lo spirito solidale della comunità - racconta-; da bambina ricordo il momento della semina del grano, che poi veniva portato al mulino». Le chiedi di Craco Peschiera e lei è tranchant: «Una valle di lacrime in mezzo a una conca». A pochi metri dal centro storico c’è il convento di san Pietro, adibito a museo e infopoint. Al momento è tutto fermo, anche se i visitatori non mancano. «Speriamo che le cose cambino quando riapriremo il borgo medievale ai turisti», mormora Vincenzo Montemurro, consigliere comunale di Craco. I lavori di messa in sicurezza dovrebbero iniziare in autunno. Craco intanto aspetta. Avvolta nel silenzio.