"Il ritratto più fedele di Dante? La descrizione di Boccaccio"

Vittorio Sgarbi traccia l’identikit del sommo poeta attraverso la pittura, la letteratura e i luoghi che portano a scoprirne l’anima più che il volto

Un confronto fra i volti raffigurati da grandi maestri dell'arte (stilearte.it)

Un confronto fra i volti raffigurati da grandi maestri dell'arte (stilearte.it)

Vittorio Sgarbi, proviamo a fare un giro d’Italia tra i ritratti di Dante…

"Il primo ritratto attendibile non è in pittura ma in letteratura ed è di Boccaccio, che nel Trattatello in laude di Dante fa una descrizione che ci dice più di un dipinto. Da lui sappiamo che era di mediocre statura, che aveva la schiena un po’ curva e procedeva con un “andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito”, il volto lungo, il naso aquilino, il labbro di sotto più sporgente, il colore della pelle piuttosto scura, aveva i capelli spessi, che non si vedono mai perché gli mettono sempre quel cappellaccio rosso, e dobbiamo immaginarlo con la barba. Inoltre era “nella faccia malinconico e pensoso”. Questo primo identikit attendibile però poi viene trasformato".

Quando?

"Lo si vede per la prima volta negli affreschi rinvenuti in un edificio privato di Firenze prossimo alla chiesa dove Dante ha incontrato Beatrice. Qui, nel Palazzo dell’Arte dei Giudici e dei Notai si vedono le sembianze di Dante con un naso piuttosto lungo, un’iconografia che viene formalizzata, lui senza barba e con una pelle piuttosto scura".

E Giotto negli affreschi del Bargello?

"I due vanno di pari passo. Dante con la letteratura fa quello che fa Giotto fa con pittura, il De Vulgari Eloquentia è semplicemente la parola di quelle persone che parlano una lingua attuale. In pittura passiamo da un mondo bizantino alla dimensione di una verità raccontata sul piano psicologico: operazione che Giotto compie trasportando la lingua bizantina, latina e greca della pittura, in quella italiana. Entrambi parlano il volgare. I due erano coetanei, amici, e Giotto nella Cappella della Maddalena al Bargello fornisce questa iconografia che diventa stereotipo, Dante con il cappello in testa e l’abito rosso. Da quel momento il 90 per cento delle immagini successive si ispira a quella. Del resto Dante nell’XI Canto scrive: “Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura”. Cimabue parla ancora una lingua latina mentre Giotto parla una lingua moderna, un volgare che vale per la letteratura e per la pittura".

Altri raffigurazioni di Dante?

"Il più bello è forse quello di Bronzino, dipinto in una lunetta, comprato per diversi milioni da un russo. Questa è l’immagine più elegante che abbiamo di Dante, rappresentato molto ispirato mentre guarda verso un crepuscolo l’immagine dell’Inferno. Un ritratto idealizzato. Con la mano fa un’operazione abbastanza singolare: la poggia sulla Cupola di Santa Maria del Fiore, che non c’era ancora, a protezione della città. Molto bella la postura e l’apertura di questa luce lontana che va dall’Inferno al Paradiso, ed è una pittura di costruzione grafica molto felice, forse la più bella, anche se non si discosta molto dal modello di Giotto".

E i ritratti di Botticelli e Luca Signorelli?

"Beh, quello devo dire che riguardando in questi giorni quello di Botticelli per la locandina dello spettacolo che farò su Dante e l’amore, mi sembra tra le immagini più convenzionali e meno felici che ha dipinto. Sembra un cartello di “wanted”, messo così di profilo su fondo bianco. Luca Signorelli lo ritrae invece mentre legge ma anche qui la foggia dell’abito, il naso e l’alloro sono assolutamente identici. Perfino Raffello, anche se gli mette un po’ più di barba, ricalca la stessa iconografia. L’unico che rende questo schema un po’ più energetico è Andrea del Castagno, che gli toglie un po’ della solennità e della gravità".

Nell’Ottocento invece?

"Ci sono delle cose interessanti nella scultura, con Giovanni Duprè. Una statua di Dante e Beatrice del 1861, data dell’Unità d’Italia: lui è rappresentato in modo molto sobrio, rigido e frigido. Loro sono padre e madre dell’Unità d’Italia. Perché Dante è l’Italia".

E se invece parliamo di luoghi danteschi?

"Questi sono già più interessanti del suo ritratto. Certamente il luogo dantesco per eccellenza è la Cappella degli Scrovegni di Giotto, a Padova, che non è un’illustrazione della letteratura dantesca, una collezione di contenuti, ma lo spirito con cui nel 1303-05 Giotto rinnova il linguaggio dell’arte è lo stesso della Commedia. Se uno vuole sentire l’aria di Giotto, in quella meravigliosa cappella potrebbe leggere Dante perché è circondato da quello che era il clima e la sensibilità che Giotto interpreta fino in fondo, il parlare il volgare in pittura, raccontare emozioni, sentimenti, stati d’animo che rendono i personaggi veri e reali".

Quali sono le immagini preferite di Dante?

"(Sgarbi cita a memoria) “Se tu riguardi Luni e Urbisaglia / come sono ite e come se ne vanno / di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia“: ecco, ci sono dei versi in cui lui, citando solo delle città, fa sentire come quei luoghi sono luoghi della memoria. A Luni c’è un anfiteatro bellissimo, l’aria di un luogo che non c’è più. Fa sentire che le nostre vite sono corte e uno non fa in tempo a vivere il passaggio di civiltà, il passaggio verso cui stiamo andando.  Come tra Medioevo e Rinascimento, tra Rinascimento e Barocco: chi se n’è accorto? Vivessimo duecento anni forse lo potremmo capire ma le evoluzioni storiche sono troppo lunghe rispetto alla vita. Lui sta indicando dei passaggi di civiltà tra il suo fiorire e sparire. Dante vive la contemporaneità sapendo interpretare quello che succede, ha la coscienza dei tempi che vive". 

Altri posti dove è stato?

"Uno è il Casentino, in particolare la Pieve di Romena, una bella chiesa sulle terre dei conti Guidi che lo hanno ospitato all’inizio dell’esilio. Nell’Inferno descrive quei luoghi (cita ancora “Li ruscelletti che d’i verdi colli / del Casentin discendon giuso in Arno, / faccendo i lor canali freddi e molli, / sempre mi stanno innanzi e non indarno”) e in particolare (riprende) “Ivi è Romena, là dov’io falsai / la lega suggellata del Batista; / per ch’io il corpo sù arso lasciai”. E qui sta parlando di uno dei personaggi dell’Inferno arso come falsario, di luoghi nei quali è vissuto. Altro luogo è la Verna, che lui cita (“nel crudo sasso intra Tevero e Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo”), il paesaggio che va da Bibbiena alla Verna. E poi ancora le visioni di Ulisse. Dante è stato in Sardegna? Non lo sappiamo ma Ulisse sì. In questo caso lui tiene conto di un luogo dove forse non è mai stato (“L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,/ fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, / e l’altre che quel mare intorno bagna”).

Ma qual è il canto che lei ama di più?

"Il terzo del Paradiso, quello di Piccarda, che indica la condizione della donna come io la prediligo. Dante la vede che sta in un punto abbastanza lontano da quella luce e le chiede: voi che siete in questa posizione, state bene così o vorreste stare più vicino a Dio? E lei risponde: “E ‘n la sua volontade è nostra pace: / ell’è quel mare al qual tutto si move / ciò ch’ella crïa o che natura face”.