Venerdì 19 Aprile 2024

Il più alto e popolare

Riesce a parlare di cose eccelse a tutti. Ma il rischio è che l’anniversario si trasformi in una rassegna di ovvietà

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Dicono che Dante ha inventato l’Italia, ma non è vero. È il contrario, l’Italia ha inventato Dante, se così si può dire. Il “disìo”, il desiderio, vero cuore d’Italia, energia che unisce la terra al cielo, il desiderio della bellezza, la fame di cielo unito alla terra, ha creato il suo poeta. Lei c’era prima di lui, e lui lo sapeva. I poeti dan voce alla vita esistente, le interpretano e ne danno una visione eloquente. Dante inventa tante cose, figure, parole, ma non inventa l’Italia, di lei parlavan già Virgilio e san Francesco ne aveva cantato la natura e le creature. A Dante toccò essere l’eruzione e il configurarsi in bellezza di ciò che siamo, nei millenni prima e dopo di lui. I poeti grandi infatti fanno rileggere il passato e anticipano il futuro. E in Dante, uomo in lotta con le passioni, concentrato fin da ragazzo a non perdere Beatrice, si esprime il nucleo vitale di ciò che siamo e possiamo essere. Di ciò che abbiamo come valore universale. Senza il quale l’Italia non esiste. E tale nucleo non sta in una ideologia, in una istituzione, in una visione politica. Ma nel “disio”, nel desiderio che conduce una persona ad accogliere l’invito della vita per giungere all’Amore.

Il “disìo” è l’Italia, o l’Italia non è. Lo stesso paesaggio italiano viene assunto come elemento del viaggio, e l’Italia diviene nella Commedia paesaggio eterno. Dante ha preso sul serio il proprio cuore, nel senso più profondo e completo. Come scrive uno dei grandi poeti del ‘900 che ha contribuito alla riscoperta di Dante, T.S.Eliot, il poeta fiorentino è uno che ha preso sul serio la propria esperienza. Sembra cosa da poco, ma è il motore della poesia dantesca. Un uomo ferito dalla perdita della donna amata, decide che la sua vita sarà tutta un viaggio poetico a “giudicare” cioè a riflettere con serietà sulle cose, le storie, le persone, i libri, gli incontri fatti per andare a scoprire cosa c’è in fondo al mistero della vita. Cosa c’è in fondo alla vita che gli ha donato e “tolto” Beatrice.

Senza questo “disio” di amore e di conoscenza non si intende da dove nasce la Commedia. Tale legame tra terra e cielo è la benzina che muove il suo prodigioso ordigno, il suo incanto che si propaga verso sottili disquisizioni o violentissimi picchi di emozione. Il disìo che muove il viaggio per non perder Beatrice diviene potente carburante che anima le mille invenzioni, le fusioni, i recuperi dal mondo antico e le ardite reinvenzioni, le bestemmie e le preghiere, la rapidità di apparizioni memorabili, la pietà infinita, gli stupori. Tale legame tra cielo e terra che trapassa il cuore di un uomo è anche il motivo per cui la vera cultura italiana unisce sempre il basso e l’alto, il popolare e il mistico. L’Italia autentica non si divide in elitaria e pop o trash, come vorrebbero farci credere molti “intellettuali” e molti banali direttori di festival e programmi televisivi. Dante è il più alto dei poeti ma anche il più popolare dei poeti. Perché popolare, come sapevano anche Michelangelo, Leopardi o Manzoni e tanti artisti attuali, non significa basso e banale, ma che riesce a parlare di cose eccelse a tutti. La poesia di Dante non è un monumento, ma un corpo vivo. Una rigenerazione continua del disìo in chi la legge essendo disponibile a seguire il suo amante azzardo. Questo fa la poesia.

Speriamo che il Centenario colga questo elemento vitale dell’opera del nostro poeta. Il rischio che parrucconi di vario genere intingano le penne della loro vanità e della loro ignavia (che ammalano spesso la trasmissione della letteratura e dell’arte ai giovani) e che il Centenario si trasformi in una rassegna tra retorica dell’ovvio e inutilmente bizzarro c’è. Ma accanto a studiosi di sicuro valore all’opera, vediamo già adunarsi un vivace circo di artisti, poeti, attori, cantori popolari e amanti di vario genere, portatori di disìo. E chi ha disìo è un vivo tipo dantesco.