Giovedì 18 Aprile 2024

Formaggio di Fossa: lenta la marcia dagli inferi al dop

La maturazione sottoterra del tipico prodotto di Sogliano crea un naturale parallelo con il contrappasso dantesco. Elogi pure alla Vernaccia di Bolsena e al pane sciapo dei toscani

Un'illustrazione di Doré

Un'illustrazione di Doré

di Riccardo Lagorio

Inutilmente si cercherebbero spunti dedicati al cibo nel Canto VI, dove espiano la loro colpa i golosi. Ma l’Inferno offre ugualmente spunti interessanti per raccontare il cibo di oggi. "O tu che ne la fortunata valleche fece di Scipïon di gloria redaquand’Anibàl co’ suoi diede le spalle" (Inferno, XXXI, 115-117) sono le parole di Virgilio rivolte ad Anteo, una captatio benevolentiae per ottenere di essere deposto nel IX cerchio. L’elefante è il simbolo araldico dei Malatesta, in omaggio alla vittoria del loro presunto antenato Scipione l’Africano su Annibale. Lo stesso emblema è riportato sulle forme di Formaggio di fossa di Sogliano DOP, un formaggio infernale poiché, dopo la produzione e una breve maturazione, viene calato sotto terra, negli inferi, per diventare altro: nel tepore della fossa, il formaggio riposa in un sonno liberatorio per togliersi di dosso acqua, sali e grassi. Risorge a vita nuova prima di concedersi al palato. Le fosse riconosciute per questo cambio di stato si trovano principalmente a Sogliano sul Rubicone, Novafeltria, Talamello, Cartoceto e Mondaino mentre la produzione può avvenire nella provincia di Forlì-Cesena, nelle Marche e in parte della provincia di Bologna. Tali fosse di arenaria o di tufo, dove i caci rimangono almeno 100 giorni, quanti sono i Canti della Divina Commedia, assomigliano inoltre alla voragine infernale. I primi documenti che ne attestano l’esistenza risalgono al Quattrocento.

"… ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:dal Torso fu, e purga per digiunol’anguille di Bolsena e la vernaccia" (Purgatorio, XXIV, 22-24) sono i versi più usati tra coloro che aspirano alla promozione del lago di Bolsena e delle anguille che ancora vi si possono catturare, sia della Vernaccia nei suoi diversi cloni e territori di coltivazione. Certo, i commentatori non hanno ancora chiarito se si trattasse di Vernaccia o di più comune vino vernaculum, ovvero locale. Il che aprirebbe una valutazione se le parole di Dante si riferissero a Cannaiola o ad Aleatico di Gradoli, le uve che maggiormente cingono oggi il lago. Forse solo Martino IV, salito al soglio pontificio nel 1281, potrebbe svelare l’arcano in quanto anche nei secoli successivi con il termine Vernaccia si fa riferimento a uve diverse, presenti dalla Lombardia alla Liguria (dove alcuni fanno derivare l’originale da Corniglia, nelle Cinque Terre) dalla Sardegna alla Toscana. Alcuni fatti depongono a favore di quest’ultima ipotesi, in particolare concentrandosi intorno all’agro di San Gimignano, che ottenne la prima DOC italiana e successivamente salì nell’empireo delle DOCG.

"Tu proverai sì come sa sì salelo pane altrui, e come è duro callelo scendere e ‘l salir per l’altrui scale" (Paradiso, XVII, 58-60) racconta della profezia dell’esilio da Firenze proveniente da Cacciaguida. Che il pane toscano (e di ampia parte dell’Italia centrale) sia avaro di sale lo definisce anche il disciplinare di produzione del Pane Toscano DOP. Fatto con grano tenero coltivato nelle province di Livorno, Siena, Arezzo e Grosseto, il pane sciapo potrebbe risalire alla guerra tra Firenze e Pisa, che controllava i porti facendo pagare caro ai fiorentini il sale. In Umbria e nelle altre regioni del Centro la tradizione sembra avere un’origine più recente, durante il papato di Paolo III. Nel 1540 la città di Perugia si ribellò alla tassazione sul sale e, sotto assedio, cadde, perdendo l’autonomia de facto che l’aveva sino ad allora contraddistinta. Anche i territori limitrofi della Tuscia e quelli marchigiani ne seguirono l’esempio.