Mercoledì 24 Aprile 2024

Che leggenda quel cammino di celluloide

Fin dalle origini, il cinema ha fatto suo il mito. Sono specchio dei tempi 'L'Inferno' del 1911 come la profetica riduzione di Ron Howard del 2016

Il cinema

Il cinema

All’inizio del cammin di nostro cinema, già troviamo Dante. Erano i primi anni del Novecento. In un tempo brevissimo, il cinema si era trasformato. Il sogno incerto, l’utopia di alcuni pazzi visionari era diventato un immenso fenomeno popolare. Il cinema era come il teatro, ma costava pochissimo: e non occorreva il vestito buono, per andarci. Così ci andarono tutti, operai e contadini. Il cinema, nei primi anni, puzzava di circo, di fiere, di tendoni ambulanti. Ma presto dovette crescere, diventare più rispettabile. E per nobilitarsi, andò a frugare – anzi, a saccheggiare – la Storia e la letteratura. E il primo gioiello che trovò fu la Commedia di Dante.

C’è una Francesca da Rimini del 1908, un’altra del 1910. C’è un Conte Ugolino di Giovanni Pastrone nel 1909. Luca Comerio, futuro grande documentarista di guerra, dirige Saggi dell’Inferno dantesco. Insomma, una bolgia infernale.

Da quella bolgia emerge, nel 1911, L’inferno di Giuseppe de Liguoro, Francesco Bertolini e Adolfo Padovan. Non è un film come tanti: è il primo lungometraggio della storia del cinema italiano. Ispirato alle illustrazioni neogotiche di Gustav Doré, ma anche pieno di effetti speciali. D’epoca. Fumi, fuochi, sovrimpressioni, effetti di montaggio: quel poco o tanto che aveva scoperto, anni prima, Georges Méliès. Tanto bastò per un successo enorme, che toccò anche gli Stati Uniti. E pensare che due mesi prima una casa di produzione rivale, la Helios film, aveva fatto uscire un suo Inferno. Meno spettacolare, ma più tempestivo. E con un tocco di erotismo in più: il seno nudo di Francesca da Rimini che spunta nelle immagini del film.

Poi viene un altro inferno. L’inferno della guerra. Milioni di europei vanno a fare esperienza diretta dei regni narrati da Dante. E sulla Terra, la febbre dantesca cala un po’: si segnala solo una Beatrice del 1919, con la diva del muto Francesca Bertini. Ma viene il 1921, il sesto anniversario della morte di Dante. Si preparano le celebrazioni, proprio come oggi: e si prepara un film enorme, imponente: Dante nella vita e nei tempi suoi. Viene allestita a Firenze una Cinecittà ante litteram, un grande studio cinematografico in cui sono ricostruiti il Battistero e Ponte Vecchio com’era nel Duecento. Sono migliaia le comparse. Ma il film, uscito fuori tempo massimo nel 1922, sarà un insuccesso, e la Cinecittà fiorentina inizia a morire.

È vivo e vegeto invece l’eroe macho, il forzuto, lo Schwarzenegger dell’epoca: Bartolomeo Pagano. Che nel 1925 interpreta Maciste all’inferno. Maciste finisce a soffrire letteralmente le pene dell’inferno per colpa di una donna. Solita storia.

Andiamo in America. Esce nel 1935 La nave di Satana, in cui un giovane Spencer Tracy, illusionista da Luna park, vede il suo baraccone andare a fuoco, e si ritrova nell’inferno vero. Nel cast c’è una ballerina sedicenne, che ha ancora i capelli neri e si chiama ancora col suo vero nome, Rita Cansino. È Rita Hayworth.

Pochi anni dopo, Rita Hayworth sarà così famosa che la sua immagine finisce anche sulla prima bomba atomica. Finisce la seconda guerra mondiale, di inferno si parla di meno. Ci finisce, con effetti esilaranti, Totò in Totò all’inferno di Camillo Mastrocinque, nel 1955. Intanto è nata la televisione, che provvede a educare gli italiani anche con lo sceneggiato Vita di Dante diretto nel 1965 da Vittorio Cottafavi, con il poeta interpretato da Giorgio Albertazzi e una quindicenne Loretta Goggi nel ruolo di Beatrice.

Qualcuno sogna un Inferno che non farà mai: è Franco Zeffirelli, che negli anni ’70 pensa a Dustin Hoffman per il ruolo di Dante. Restano i disegni preparatori, alla fondazione Zeffirelli, a renderne testimonianza. Riesce nell’impresa invece il provocatorio regista inglese Peter Greenaway, che realizza nel 1990 con Tom Phillips A Tv Dante, mini serie sui primi otto canti dell’Inferno, con tecniche da sofisticata videoarte, e la formidabile narrazione di John Gielgud. Fra i sogni rimasti tali, anche quello del genio polacco Krzysztof Kieslowski, il regista di Decalogo, che nel 1990 pensa a una trilogia di film ispirati alla Commedia dantesca, ma muore prima di poterla realizzare. Nascono dai suoi soggetti Heaven di Tom Tykwer e L’enfer di Danis Tanovic.

Al girare del secolo hanno precisi riferimenti alla Commedia sia Seven di David Fincher – con gli omicidi ispirati ai peccati capitali – sia Hannibal di Ridley Scott. Ma è in Inferno di Ron Howard, del 2016, che l’immaginario dantesco torna a ribollire, con Tom Hanks nei panni del professor Robert Langdon impegnato a decifrare enigmi tratti dalla Divina Commedia, per salvare l’umanità minacciata da un virus letale. Oggi, sta per girare il film su Dante a cui pensa da vent’anni il regista Pupi Avati. Mentre proprio in questi giorni Tosca Musk, sorella di Elon, sta girando a Firenze Gabriel’s Rapture con Giulio Berruti nei panni di un docente di filologia dantesca. Nel mezzo del cammin di nostro cinema, c’è sempre lui.

Nelle foto: Bartolomeo Pagano, Totò, Giorgio Albertazzi e Loretta Goggi, Tom Hanks, Pupi Avati