BOLOGNA LA DOTTA LO INCANTÒ CON LA GARISENDA

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"Qual pare a riguardar la Carisenda sotto l’chinato, quando un nuvol vada sovr’essa sì, ched ella incontro penda: tal parve Anteo a me"... Nel XXXI canto dell’Inferno, entrando nell’ultimo cerchio, quello dei traditori, Dante ricorda l’illusione ottica della torre Garisenda di Bologna che, quando in cielo passa una nuvola, sembra chinarsi verso chi la guarda. Dante conosceva bene Bologna, la dotta città con la sua vita universitaria, e sicuramente fin da giovane vi trascorse alcuni periodi per ragioni di studio e di amicizia (come annotò anche Gianfranco Contini, insigne filologo e critico), anche se è difficile collocarli con certezza nel tempo. Proprio alla torre Garisenda Dante dedicò anche un sonetto giovanile, e la versione del 1287 è la più antica attestazione di una rima dantesca. Erano gli anni scanzonati degli studi e della curiosità, dei dialoghi e delle amicizie con Guido, Lapo o Cino, della poesia e della filosofia, ma anche della ‘fixica’, ovvero l’anatomia, insegnata da Taddeo Alderotti che poi ritroveremo nel Paradiso. Evidentemente frequentava intensamente la città, al punto che nel De Vulgari Eloquentia arriva a sottolineare le differenze linguistiche fra Borgo San Felice e Strada Maggiore.

s. m.