L’elezione del presidente della Repubblica

Ogni regola per eleggere il presidente della Repubblica ha uno scopo e una tradizione e più di ogni altro, questo è il voto che garantisce sempre una buona dose di colpi di scena. Ma chi elegge il capo dello Stato? Chi sono i Grandi Elettori? Come funzionano i meccanismi di voto? Perché il voto è segreto? E, infine, quali sono le funzioni e i poteri del presidente della Repubblica? Ecco tutto quello che c’è da sapere sul grande conclave che sceglierà il successore di Mattarella e che, ogni sette anni, scandisce la vita del Paese.

Eleggere un Presidente con la pandemia in corso. Il voto al tempo del Covid

di Ettore Maria Colombo

Il grande “conclave laico” che serve per eleggere, ogni sette anni, un nuovo Capo dello Stato ha delle regole ben precise, stabilite da antiche prassi ma che stavolta saranno stravolte, causa Covid. Infatti, se il luogo dove si vota resta l’aula di Montecitorio (non sarà ammesso, come pure da più parti richiesto, il voto a distanza) cambierà, e molto, il ‘come’ si vota. Vediamo i punti salienti. 

 

I “catafalchi” restano, ma saranno tutti nuovi 

 

Innanzitutto, va detto che resteranno in vita i vecchi “catafalchi”, le cabine montate ai piedi dello scranno del presidente della Camera, dove i Grandi elettori depositano la scheda con il nome del candidato al Colle, ma non saranno più quelli tradizionali e, da tre che erano, saranno quattro. Via le tendine di feltro, saranno aperti, più alti e più lunghi. Una sorta di “quinte”, o di cabina elettorale ‘normale’ dentro cui esprimere il voto e poi inserire la scheda nell’”insalatiera”, la cesta di vimini foderata di raso verde che resta com’è. 

 

Inoltre, è prevista una sola votazione al giorno (e non due come era prassi, che però non sono neppure ancora escluse) e un massimo di 200 – su 1009 – Grandi elettori in aula, più 100 postazioni previste nelle tribune. Le fasce orarie saranno in ordine alfabetico e vedranno partecipare al voto non oltre i 50 votanti a volta. L’accesso all’Aula avverrà, per i Grandi elettori, dall’ingresso posto sul lato sinistro, mentre per l’uscita si utilizzerà quello situato sul lato destro. 

 

Prima che i Grandi elettori accedano alla cabina elettorale (il vecchio ‘catafalco’) sarà loro chiesto di sanificare le mani e, insieme alla scheda elettorale, sarà data una penna, prima disinfettata, per esprimere la preferenza (di solito erano matite o lapis) e che poi sarà deposta in un cestino con tutte le altre. Al termine delle operazioni di voto, l’intera Aula sarà sanificata, seggi compresi.

Le decisioni prese dai questori della Camera 

 

I tre questori della Camera – il grillino Francesco D’Uva, il forzista Gregorio Fontana ed Edmondo Cirielli di Fratelli d’Italia – hanno fornito le nuove disposizioni in un documento, dal titolo “Disposizioni per l’elezione in sicurezza del presidente della Repubblica”, e le hanno illustrate alla conferenza dei capigruppo, che hanno varato le nuove norme il 13 gennaio. 

 

Va anche detto che, per ogni altra possibile novità, spetta a Montecitorio e al suo presidente, Roberto Fico, decidere su come garantire il massimo di sicurezza, dal momento che la seduta comune si tiene appunto alla Camera dei deputati. 

 

“Lavori in corso” dentro il Transatlantico…

 

In ogni caso, saranno smontati gli scranni che sono stati predisposti in questi ultimi 15 giorni in Transatlantico, proprio per adottare il distanziamento come è stato già fatto durante i lunghi mesi di lockdown, cioè per quasi due anni.

 

Le ultime giornate prima del 24 gennaio saranno utilizzate per terminare gli allestimenti: dalle cabine per votare, posizionate all’interno dell’emiciclo, ai gazebo coperti nel cortile interno della Camera, alle postazioni per tv e radio – che, per la prima volta saranno non nel cortile d’onore ma al quarto piano, sede della commissione Bilancio in numero di sei – fino allo smantellamento delle riallestite postazioni destinate al voto dei deputati in Transatlantico, che tornerà accessibile a partire dal 24 gennaio.

 

A Montecitorio potranno accedere tutti i cronisti iscritti all’Associazione stampa parlamentare (Asp) ma sarà prevista una quota extra a testata. L’aula della XII commissione, situata ai piani alti del Palazzo, sarà utilizzata per le conferenze stampa dei gruppi parlamentari durante il voto.

 

Prevista, inoltre, la copertura del cortile di Montecitorio con una tensostruttura per offrire, insieme con il Transatlantico, uno spazio in più. A Montecitorio si entrerà con il Green Pass semplice, oppure tampone anti-Covid negativo, misurazione della temperatura (con oltre 37,5 non si entra) e mascherina regolare (la Ffp2). 

 

Tampone obbligatorio per il giuramento

 

Tampone obbligatorio anche la mattina del giuramento, cerimonia in cui è previsto il solo intervento del nuovo presidente della Repubblica. Quindi, nel giorno del giuramento, i 1009 Grandi elettori potranno – e solo in quel momento – essere tutti presenti in aula, ma la mattina stessa saranno obbligati a fare il tampone antigenico, prima dell’ingresso. Deputati e senatori potranno sedere nell’emiciclo, mentre i 58 delegati regionali potranno assistere al discorso dalle tribune. In aula parlerà solo il nuovo capo dello Stato. Contingentati i tempi pure per il nuovo Presidente: non potrà parlare oltre i 50 minuti. 

 

Ma scoppia la grana dei malati da Covid 

 

Ma già scoppia la grana dei positivi da Covid e assenti forzati per malattia o per quarantena che, al 16 gennaio, risultavano essere quasi cinquanta. “Il Parlamento non ha gli strumenti per permettere ai positivi di venire a Roma. Detto questo, anche se ci fossero 100 positivi, non è che la votazione non è valida”, spiegano dalla Camera. Per ora, nessuna soluzione e nessuna eccezione è stata prevista dal presidente Fico. 

 

Negato il voto a distanza, negato il Covid Hotel

 

L’incertezza Omicron resta, dunque, uno dei giocatori di questo voto per il Quirinale e si somma a quella politica: se gli assenti forzati fossero un centinaio, gli stessi equilibri e maggioranza sarebbero alterati come pure i due quorum. E’ questo che il centrodestra sottolinea e vuole evitare. Il costituzionalista e deputato dem, Stefano Ceccanti avverte da settimane, vox clamantis in deserto, del rischio di un voto falsato dalle assenze, causa i molti contagi e quarantene. 

 

Ma il voto a distanza o la proposta di votare nella Camera di appartenenza, ovvero deputati a Montecitorio e senatori a Palazzo Madama, sono state scartate, anzi: mai prese in considerazione. 

 

Inoltre, già pendono sul voto, dal punto di vista organizzativo, anche i ricorsi dei parlamentari delle isole, che non hanno il Green Pass rafforzato, perché convinti no Vax e che, non essendo ammessi né sui traghetti, né sugli aerei, non potranno raggiungere il seggio elettorale. 

 

Le operazioni di voto che restano quelle solite

 

Ricordato che la “chiama” dei Grandi elettori verrà effettuata due volte e che, per votare, entrano prima i senatori a vita, poi quelli elettivi, poi i deputati e, infine, i delegati regionali, va detto che lo spoglio delle schede sarà ‘normale’: sarà eseguito dal presidente della Camera che legge in Aula i nomi dei candidati uno ad uno ad alta voce. Il conto delle schede viene tenuto da scrutatori speciali: i funzionari della Camera eai componenti dell’ufficio di presidenza di Fico. 

A ogni votazione i voti vengono prima conteggiati, poi letti all’Assemblea al termine dello spoglio. Per essere messe a verbale, le preferenze ai candidati devono essere almeno due. Chi riceve un solo voto viene conteggiato genericamente tra i voti dispersi mentre le schede bianche vengono nominate e citate nella lettura. Solo i nomi dei ‘franchi tiratori’ non si sanno…

I Grandi elettori. Chi sono e come sono divisi

di Ettore Maria Colombo

Le incognite sul nome del prossimo presidente della Repubblica sono ancora tante, soprattutto su chi può più o meno aspirare all’alto incarico, ma almeno una certezza c’è: dal 24 gennaio in poi si voterà, finalmente, per eleggere il dodicesimo capo di Stato della Repubblica italiana dal 1948. 

 

Il magic number è di 1009 Grandi elettori

 

Il “magic number”, ogni volta variabile, per eleggere il Capo dello Stato della Repubblica Italiana è fissato stavolta a 1009 Grandi elettori. Il quorum è fisso e le due maggioranze possibili (qualificata e assoluta) anche, lo sono, ma il numero dei Grandi elettori è invece variabile (sono stati oscillanti tra i 950 dell’immediato secondo dopoguerra e i 1009 degli scorsi decenni). Ma come si raggiunge il numero di 1009 Grandi elettori? Dalla somma dei 951 parlamentari (630 deputati, 315 senatori elettivi, sei senatori a vita) cui si aggiungono i 58 delegati regionali per un totale di 1009 Grandi elettori. Infatti, non votano ‘soltanto’ i 945 parlamentari eletti e attualmente in carica (630 deputati e 315 senatori), cioè gli eletti dal popolo alle elezioni politiche (siamo nella XVIII legislatura, quindi, si tratta dei parlamentari eletti alle Politiche del 2018), cui vanno aggiunti i sei senatori a vita, ma anche 58 delegati regionali. I quali votano, però, solo dal 1971 in poi, quando sono state istituite le Regioni a statuto ordinario.

 

Chi sono i 58 delegati regionali Grandi elettori

 

Di solito i consigli regionali mandano il presidente della Giunta (detto Governatore), il presidente del Consiglio regionale, che è sempre espressione della maggioranza che regge il governo regionale, e un consigliere regionale, scelto di solito nelle fila dell’opposizione. 

La proporzione “politica”, cioè, è sempre di 2 a 1, tanto che, per la prossima elezione del Capo dello Stato, i conti, pur a tavolino (le votazioni, nelle varie Regioni, inizieranno dall’11 gennaio e dovranno completarsi entro il 18), sono già state fatte e lo score recita: 33 delegati regionali per il centrodestra e 25 delegati per il centrosinistra. Quasi tutte le Regioni hanno assegnato i loro delegati per l’elezione del Presidente e, in alcune regioni (Lombardia, Lazio, Sicilia) non sono mancate polemiche su quali nomi mandare a Roma, specie dentro il centrosinistra, tra Pd e 5s.

I numeri “ballerini”. C’erano due seggi vacanti

 

Un numero, però, quello dei Grandi elettori che diversi giornali, sbagliando, hanno contato a lungo in modo ‘ballerino’, come se la matematica fosse un’opinione, il che non è. Alcuni hanno scritto che erano solo 1007, altri 1008. C’è un problema di numeri, dunque? Sono davvero 1009, i Grandi elettori, nel loro perfetto plenum? Non lo erano, almeno non fino a oggi. Fino a un paio di settimane fa, infatti, i Grandi Elettori sono stati soltanto… 1007. Ne mancavano, cioè, ben due, nelle due Camere, ma per ragioni diverse.

 

Alla Camera, mancava il plenum (630 deputati) perché fino ad oggi un seggio era vacante, quello di Roberto Gualtieri, diventato a metà ottobre sindaco di Roma. Si trattava, per di più, di un seggio uninominale, quello di Roma 1, che è stato ‘riempito’ proprio il 16 gennaio con le elezioni suppletive che hanno visto la vittoria del candidato del Pd-centrosinistra, Cecilia D’Elia.

 

Anche al Senato mancava un seggio. Era quello del senatore, eletto all’Estero, Adriano Cario, dichiarato decaduto dall’Aula a dicembre per un riconteggio dei voti, dopo un lungo contenzioso tra Giunta ed Aula su presunti brogli. Il suo posto – essendo gli eletti all’estero eletti con metodo proporzionale – lo ha preso il secondo in lista, Fabio Porta, che però è iscritto al Pd e, quindi, porterà un voto in più da Grande elettore ai dem. Il Senato ne ha convalidato l’elezione ed ecco che il plenum, da oggi, è tornato a 1009.

 

Il problema dei due quorum da raggiungere 

 

Ma perché il numero dei Grandi elettori è così importante? Perché serve a stabilire il quorum. Quorum che la Costituzione prescrive così: il Capo dello Stato necessita, per essere eletto, della maggioranza qualificata dei 2/3 dei voti nei primi tre scrutini e della maggioranza assoluta (50+1 dei voti) dal quarto scrutinio in poi. Tradotto in numeri, con il plenum fissato a 1009, l’asticella da superare è di 673 voti (e sono tanti) nei primi tre scrutini e 505 dal quarto in poi (e comunque resta un bel numero). Questi i numeri, e le ‘asticelle’, che i tanti pretendenti al ‘trono’ (Draghi, Berlusconi, Casini, Amato, Cartabia, o altri) dovranno superare per andare al Quirinale. E qui entrano ed entreranno sicuramente in gioco i famosi franchi tiratori, bau bau di ogni elezione per il Colle che si rispetti, oltre che di ogni governo, e di ogni legge, quando e se – come nel caso dell’elezione per il Quirinale – si vota in modo segreto, oltre che personale.

 

Certo è che l’elezione del prossimo presidente della Repubblica non si annuncia per niente semplice: nessuno dei due schieramenti (centrodestra e centrosinistra) ha i numeri, in partenza, per godere di una maggioranza assoluta (505 voti) ed eleggere, dal IV scrutinio, il proprio candidato. Inoltre, questo Parlamento è nato sull’onda della grande vittoria del M5s che però negli anni si è sbriciolato: basti pensare che i parlamentari dei 5s a inizio legislatura erano 338 e ora sono rimasti, tra cambi di casacche e nuovi gruppi, solo 233 (-108, cioè un numero grande quanto un partito grande…). Un gran numero di eletti pentastellati, confluiti nel gruppone del gruppo Misto, che non risponde ad alcuna indicazione di partito ed è difficile darli nel calcolo di teoriche maggioranze.

 

I rapporti di forza tra partiti e schieramenti 

 

Ma ecco i rapporti di forza, almeno sulla carta, delle varie forze politiche e dei vari schieramenti.

 

Centrodestra: può contare su 451 grandi elettori che fanno riferimento ai cinque partiti (tre grandi e due piccoli) presenti dentro la coalizione: 197 sono della Lega, 129 di FI, 58 di FdI, 29 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l’Italia, più i 33 delegati regionali.

 

Centrosinistra-Movimento 5 stelle: Può contare su 415 voti se si esclude Italia viva, su 457 se si conteggia anche il partito di Renzi (42). Il Pd conta 133 grandi elettori, M5s ne ha 232, Leu ne ha 18, Centro democratico di Bruno Tabacci ha 6 deputati. A questo blocco si aggiungono i 25 delegati regionali, più Gianclaudio Bressa, iscritto al gruppo per le Autonomie ma eletto con il Pd. Se si aggiungono i parlamentari di Iv (42) e quelli di Azione-+Eu (5) il numero salirebbe ancora (462) ma qui nulla è scontato, anche perché i 47 centristi faranno partita a sé.

 

Senatori a vita: Per questa elezione del presidente della Repubblica i senatori a vita sono 6: Giorgio Napolitano, Mario Monti, Liliana Segre, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia. Napolitano e Cattaneo sono iscritti al gruppo Autonomie, Segue e Monti al Misto, Piano e Rubbia iscritti a nessuna componente.

 

Autonomie: Il gruppo delle Autonomie-minoranze linguistiche conta 4 deputati e 5 senatori, al cui gruppo a Palazzo Madama sono iscritti anche Gianclaudio Bressa (Pd), Pier Ferdinando Casini (Centristi per l’Europa) e i senatori a vita Cattaneo e Napolitano per un totale di nove senatori.

 

Gruppo misto: In questa legislatura il gruppo Misto di Camera e Senato è lievitato fino a un totale di 113 componenti (65 deputati e 48 senatori) e mutato a secondo della nascita di nuove componenti. Il gruppo più nutrito è la pattuglia di ex M5s di Alternativa C’è che per le votazioni del Quirinale ha 18 grandi elettori (16 deputati e due senatori), poi c’è il Maie (5: 4 deputati, 1 senatore), cioè gli eletti all’Estero, poi gli ex M5s di Facciamo-Eco (2 deputati e un senatore). Nel gruppo Misto della Camera (65 componenti in totale) sono tanti i fuoriusciti dal M5s: 24 alla Camera che risultano non iscritti a nessuna componente, insieme all’ex Leu Michela Rostan, mentre nel Misto di Palazzo Madama (48 componenti) sono presenti 15 ex M5s, i tre ex 5 stelle ora in Italexit e due ex 5 stelle, uno ora di Potere al Popolo, uno del Partito comunista (sic).

Quirinale: L’elezione dei 58 delegati regionali tra i Grandi Elettori

di Giancarlo Ricci

All’elezione del Presidente della Repubblica partecipano anche 58 delegati delle Regioni. A prevederlo è l’articolo 83 della Costituzione, che detta le regole sul collegio elettorale del Capo dello Stato.

 

«All’elezione – si legge nel secondo comma dell’articolo – partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato». Una volta che il presidente della Camera ha convocato il Parlamento in seduta comune per l’elezione del presidente della Repubblica, le diverse Regioni convocano i propri Consigli che saranno chiamati a selezionare i tre delegati, due della maggioranza e uno dell’opposizione.

Sette anni fa, dopo le dimissioni di Napolitano, la presidente Laura Boldrini il 14 gennaio convocò il Parlamento in seduta comune per il 29 gennaio e i Consigli regionali si riunirono (ad esclusione  della Valle d’Aosta che scelse come delegato il proprio Presidente il giorno stesso) tra il 16 (Friuli Venezia Giulia) e il 26 (Emilia Romagna). La scelta da parte dei Consigli regionali avviene sulla base di leggi regionali. 

Solitamente vengono scelti il Governatore e il presidente del Consiglio, se sono di due partiti diversi. Ma non è obbligatorio che i delegati siano membri degli stessi Consigli regionali. Nel 2013 l’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi chiese di essere scelto tra i due delegati del centrosinistra ma da Roma arrivò lo stop della segreteria nazionale Dem, e gli fu preferito Alberto Monaci, presidente del Consiglio regionale.

I Poteri del presidente della Repubblica

di Antonella Coppari

I poteri del capo dello Stato sono stati paragonati da Giuliano Amato ad una fisarmonica. Nel senso che si estendono o si restringono a seconda del grado di maggiore o di minore stabilità del sistema. In tempi normali, il presidente della Repubblica taglia i nastri, riceve gli ambasciatori o i capi di Stato e di Governo di passaggio in Italia, abbraccia vedove e orfani, conferisce onorificenze e presiede noiose riunioni del consiglio supremo della magistratura o del consiglio supremo di difesa. Svolge insomma funzioni di alta rappresentanza, incarnando, come recita l’articolo 87 della Costituzione, l’unità nazionale. Ovvero: è una figura di garanzia, nella quale tutti si devono riconoscere, quindi separata dalla politica (qualunque sia stata in precedenza la sua provenienza), con il compito anche di interpretare il “sentiment” della popolazione e portarlo nei Palazzi.

Ecco dunque che, in tempi normali, invia messaggi alla Camere, autorizza la presentazione al Parlamento dei decreti del Governo, capita pure che faccia “moral suasion” sull’esecutivo per correggerli. È lui che promulga le leggi che può rinviare indietro al Parlamento perché siano modificate ed ha il potere di nomina di 5 dei 15 giudici della Corte costituzionale, cui spetta il vaglio di tutte i provvedimenti.

 

Ma la situazione cambia radicalmente quando il gioco si fa pesante, ovvero quando deve sciogliere crisi di governo. Sì, perché dal momento in cui un premier si dimette, il capo dello Stato ha poteri immensi perché tutto passa per le sue mani.

 

Basta pensare allo scorso anno, quando Mattarella – dopo la fine del Conte bis – ha indicato un premier che inizialmente i partiti non volevano accettare, alcuni a sinistra perché non tolleravano che morisse l’esperienza giallo-rossa, altri a destra perché volevano andare a votare (il potere di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni spetta sempre a lui). Proprio perché i poteri sono così grandi, alcune forze politiche spingono per introdurre nell’ordinamento italiano l’elezione diretta da parte dei cittadini del presidente della Repubblica al posto dell’attuale sistema indiretto di un’assemblea di Grandi elettori.

 

Per quanto i suoi poteri oscillino tra il pochissimo e il tantissimo, ciò che non può fare un capo dello Stato è guidare il governo dal Quirinale. L’idea, che qualcuno ha messo in giro legandola allo spostamento di Draghi da Palazzo Chigi al Colle, fa a pugni con la realtà. Anzitutto perché quando c’è un governo, la responsabilità politica di fronte al Parlamento che gli vota la fiducia è dello stesso governo. In altre parole, finché c’è una maggioranza e c’è un esecutivo che gode della fiducia della Camere, il presidente della Repubblica non può invadere, interferire, occupare il campo di altri. Nel caso in cui lo facesse, si esporrebbe a molte critiche perché rischia di essere elemento di destabilizzazione. 

 

Non può cioè fare riunioni con i ministri, non può andare ai vertici internazionali, non può diventare il terminale delle grane politiche: deve al contrario svolgere una funzione di garanzia. Lo stesso Mattarella, una volta nato il governo Draghi, ha fatto un passo indietro.