Venerdì 19 Aprile 2024

IL PIATTO PIANGE ANCHE A TAVOLA SI DANNEGGIA IL PIANETA

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Ognuna delle venti settimane di apertura dell’Expo è dedicata a uno specifico filone di ricerca. Si va dalle fonti rinnovabili, alle tecniche bioclimatiche, ai materiali riciclati e riciclabili, fino al recupero delle acque e a cibo e agricoltura con focus specifico nel periodo 17-23 febbraio 2022. Dunque, i problemi che affliggono il pianeta trovano tutti terreno fertile pur nella desertica Dubai su cui far fiorire idee, soluzioni, impegno. In un luogo anche visivamente dominato dal bosco artificiale high-tech che Grinshaw Architects ha impiantato per produrre energia fotovoltaica. Il padiglione Italia, ideato da Carlo Ratti, Italo Rota, Matteo Gatto e F&M Ingegneria, omaggia a sua volta l’economia circolare utilizzando materiali come bucce d’arancia, fondi di caffè, funghi e plastiche riciclate mentre è poetico l’hangar acquatico che il Brasile dedica all’Amazzonia (tra le terre più tartassate dal climate exchange), senza dimenticare la natura lussureggiante che avvolge la ‘casa’ di Singapore.

Già, la natura. Il Cmcc (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici che collabora direttamente con il Commissariato Generale per la partecipazione italiana all’Expo) ha di recente preso in esame sei città italiane (Milano, Bologna, Torino, Napoli, Venezia, Roma) per calcolare a quale richio siano esposte a causa dei cambiamenti climatici. Un fenomeno che le accomuna tutte sono le ondate di calore (entro il 2080 sono previsti a Napoli 90 giorni consecutivi se non si assumono politiche climatiche che riducano il trend) mentre il fronte aperto dalle piogge intense e dal rischio allagamenti (Milano ha vissuto 150 eventi di piena negli ultimi 140 anni) è direttamente connesso alla densità delle costruzioni, all’impermeabilizzazione del suolo, a specifiche caratteristiche morfologiche delle singole realtà. La transizione è nei taccuini dei politici. Mario Draghi si è impegnato a rispettare la promessa fatta sei anni fa dalla comunità internazionale come parte degli accordi di Parigi di mettere a disposizione 100 miliardi di dollari per finanziare la transizione ecologica. Anche se finora l’Italia che doveva stanziare 4 miliardi tra 2015 e 2020 in realtà non ha messo a disposizione che 500 milioni l’anno.

Il pianeta in emergenza deve affrontare flagelli come il riscaldamento globale (+1,09° nel decennio 2011-2020), l’innalzamento dei mari giudicato irreversibile ancora per millenni, ghiacciai che si ritirano e aree sempre più ampie in via di desertificazione con i relativi problemi agli ecosistemi.

Il settore alimentare impatta complessivamente per il 26% sugli ecosistemi mondiali e per il 30% se si calcola la necessità di energia attinta dalla filiera alimentare. Agricoltura, allevamento e acquacoltura impiegano il 70% dell’acqua consumata tra uso domestico e industria. Come dire che l’emergenza climatica passa anche dalle nostre abitudini alimentari . Nel 2019 l’Ipcc (il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico voluto dall’Onu) ha pubblicato per la prima volta un dato allarmante: l’intera filiera produttiva del cibo, dai campi al packaging, è responsabile del 37% delle emissioni di gas serra, più di quanto facciano i trasporti. Quindi non solo la mobilità o la produzione di energia tradizionali vanno combattute ma pure il fattore inquinamento legato al comparto alimentare. Nel mese di novembre a Glasgow la tematica sarà al centro dei colloqui del Cop26. Perché, come detto, la produzione di cibo assorbe anche il 92% delle risorse idriche ed è la maggiore responsabile della deforestazione e della perdita di biodiversità. Ovviamente tutto ciò avviene solo in una piccola porzione del pianeta, nei Paesi popolati dai due miliardi di obesi le cui patologie determinate dal sovrappeso sono anche tra le principali cause di morte. Perché laddove la ricchezza è una chimera, almeno 800 milioni di esseri umani soffrono la fame e la popolazione infantile è a rischio denutrizione. Una catastrofe sociale oltre che ambientale.