Roma, 23 maggio 2020 - Il giovane , 32 anni, si avvicina al tavolo. Ha un coltello. Uccide il padre di 72 anni. Siamo nello Stato di New York. Cambio di scena. Singapore. Processo per droga nei confronti di un uomo di 37 anni. L’accusa: aver trafficato eroina per circa trenta grammi. Un crimine punito molto duramente da quelle parti. E infatti l’imputato viene condannato a morte. Due fatti di cronaca, certo. Ma che hanno un’inquietante caratteristica in comune: entrambi, infatti, si sono svolti sulla piattaforma di chat e videoconferenze che va sotto il nome di "Zoom".
Negli Usa, il figlio ha ammazzato il padre che partecipava a una videoconferenza con un’altra ventina di persone (poi è stato arrestato). Tutti hanno visto il raccapricciante spettacolo. La condanna a morte a Singapore? Sempre in videochiamata. E, ovviamente, sono scoppiate le polemiche. Un uomo può essere condannato alla pena capitale senza poter vedere i suoi accusatori in tribunale? Possibile, si sono domandati in molti, che i tribunali siano stati così insensibili? La Corte Suprema si è difesa sostenendo che la videoconferenza era necessaria per la "sicurezza di tutti i coinvolti". La città-Stato era riuscita, inizialmente, a contenere il Coronavirus ma è stata colpita da una (devastante) seconda ondata. Dunque, tecnologie avanzatissime che pongono problemi. Etici. E morali.