BEPPE BONI
Esteri

Vent’anni dopo Nassiriya. L’Italia e l’impegno dei suoi soldati. I nuovi fronti: Libano e Balcani

Il 12 novembre 2003 la strage islamista in Iraq che fece 19 morti tra carabinieri, militari e civili. Fu lo spartiacque per un cambio radicale dell’approccio. Oltre 11mila effettivi in tutto il mondo

Soldati del contingente italiano nella missione Unifil delle Nazioni Unite in Libano (foto d’archivio)
Soldati del contingente italiano nella missione Unifil delle Nazioni Unite in Libano (foto d’archivio)

Roma, 13 novembre 2023 – Le missioni militari all’estero sono spesso in bilico fra le peacekeeping operations vere e proprie con risvolti umanitari e presenze più rischiose, fino d impegnare i soldati italiani in combattimenti come è successo nella guerra nascosta in Afghanistan o in attentati come a Nassiriya dove morirono 17 militari e due civili. La forbice è molto ampia e variabile. Ma il mondo da vent’anni a questa parte è più turbolento, agitato dalla nuova guerra fredda e da conflitti regionali che costringono le nazioni occidentali a proiettarsi sempre di più all’estero per operazioni di pace, presidi militari, addestramento di forze di polizia straniere.

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Oggi l’Italia piange i morti di Nassiriya, uno spartiacque di sacrificio, dolore e martiri. Quel giorno maledetto ha cambiato il corso della storia nel senso che l’impegno italiano è stato rafforzato, il modello delle missioni è stato ripensato con maggiore preparazione degli uomini, regole più sicure nell’allestimento delle basi e nella dinamica. "Questi vent’anni, ma già dal 2001 con l’impegno in Afghanistan, hanno cambiato radicalmente l’assetto e la mentalità delle forze armate. Soprattutto l’esercito da una mentalità di guarnigione con scopi solo difensivi ha aggiunto un approccio expeditionary, cioè di proiezione", spiega il generale degli alpini Giorgio Battisti, analista geopolitico, esperienze in Somalia, Bosnia e primo comandante italiano della missione Isaf a Kabul. "Inoltre sono stati migliorati e rivisti la logistica, l’addestramento, la preparazione di militari con una formazione diretta a conoscere cultura e storia del Paese nel quale si interviene. Ora le nostre forze armate sono fra le più rispettate al mondo. Anche Nassiriya ci ha insegnato un aspetto fondamentale. I nostri militari hanno acquisito la consapevolezza che anche le operazioni di pace più tranquille possono evolvere in eventi violenti".

Oggi i fronti più caldi per gli italiani sono il sud del Libano dove mille militari sono incardinati nella forza Onu che ogni giorno vede passare sulla testa i razzi che si scambiano Hezbollah e Israele, il Kosovo dove serbi e kosovari hanno sempre il dito sul grilletto delle armi, la Libia dove non si sa fin dove comandano il governo o le milizie. L’Italia è impegnata in 39 missioni sul terreno di 25 Paesi con 11mila 470 uomini di tutte le specialità dislocati fra Medio Oriente, Africa, Asia e con funzioni deterrenza anche nei Paesi baltici sotto l’ombrello Nato. Sono militari di esercito, marina e aviazione con l’aggiunta dei carabinieri utilizzati per l’addestramento delle polizie, ma anche come mediatori, come avviene in Iraq dove sono tornati recentemente e in Palestina, prima a Gerico e ora a Gerusalemme. Siamo ancora in Niger, a Gibuti, in Somalia dove 30 anni fa con la battaglia del pastificio pagammo un tributo di morti e feriti fra i paracadutisti e lancieri di Montebello, in Lettonia e in Ungheria dove si respira a distanza ravvicinata la guerra scatenata dalla Russia.

A maggio il governo intanto ha autorizzato quattro nuove missioni: l’addestramento dei militari ucraini in area Ue, la presenza in Libia, in Niger a supporto delle forze armate contro il terrorismo e la missione bilaterale in Burkina Faso. Si va avanti così, indietro non si torna se si vuole continuare ad avere diritto di cittadinanza nel club delle potenze occidentali.

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