Vaccini in fabbrica e al pub, Israele batte tutti. "Dopo ai ragazzi pizza gratis"

Arnon Shahar, responsabile della campagna: "Siamo andati anche nelle sinagoghe. I rabbini hanno convinto gli ultraortodossi"

Vaccinazioni in Israele (Ansa)

Vaccinazioni in Israele (Ansa)

Roma, 6 marzo 2021 - La classica serata pizza, vaccino e divano. In Israele funziona così. E a vedere i numeri funziona alla grande, visto che il 53,2% dei suoi cittadini (4,9 milioni di persone) ha già ricevuto almeno una dose del siero anti Covid e il 39% ha già completato l’intero ciclo. Tanto per capirci, nel nostro Paese le due fiale sono state iniettate solo a 1,5 milioni di persone, ovvero il 2,5% degli italiani. Una distanza abissale. "Se non sono loro a venire da noi per il vaccino, siamo noi – spiega Arnon Shahar, responsabile della campagna di immunizzazione israeliana – ad andare da loro: in azienda, fuori dai bar o dalle sinagoghe".

Il bollettino Covid Italia del 6 marzo

Professore, qual è il segreto del vostro piano?

"Siamo partiti molto presto. Abbiamo cominciato a iniettare il siero anti Covid della Pfizer il 20 dicembre, ben prima che l’Agenzia del farmaco europea desse il suo ok. Quando ancora mancavano diversi mesi all’arrivo delle fiale, abbiamo studiato il modo migliore per iniettare più dosi nel minor tempo possibile. E abbiamo capito che sfruttare le casse mutue (in Israele ce ne sono quattro, ndr) era la strategia vincente, visto che possono raggiungere rapidamente i loro iscritti".

Tutto qua?

"No, la vera chiave di volta è stato il sistema digitale, su cui bisogna continuare a investire. Poter caricare tutto online, facendo comunicare tra loro tutte le strutture coinvolte ci ha avvantaggiato enormemente. Anche il patentino vaccinale, che senza il sistema informatico sarebbe impossibile da realizzare, è stato un grande incentivo, visto che solo con quello si può tornare a cenare al ristorante, a teatro o in palestra".

I medici cosa hanno fatto?

"Hanno continuato a fare il loro prezioso lavoro, che è quello di curare le persone e salvare vite. Le iniezioni vengono eseguite quasi esclusivamente da personale paramedico e infermieri".

E l’esercito come vi ha aiutato?

"Innanzitutto si è autovaccinato. Noi abbiamo reclutato i loro paramedici per aiutarci a fare le iniezioni nelle case di cura e nei posti più difficilmente raggiungibili. I militari sono stati fondamentali per la logistica, visto che il siero Pfizer per essere trasportato richiede il rispetto assoluto della catena del freddo".

Come avete fatto a raggiungere le fasce di popolazione più restie a vaccinarsi, come gli ultraortodossi?

"Abbiamo lavorato moltissimo dentro le comunità e con i loro leader. I rabbini sono stati fondamentali, visto che sono le persone più seguite. Convincere loro significa convincere tutti gli altri. Inoltre, visto che non sono molto tecnologici, abbiamo predisposto un sistema di prenotazione via cellulare. Chi riceveva la chiamata doveva solo dire ‘Sì, mi voglio vaccinare’, per ricevere gli appuntamenti per le due dosi. E in diverse occasioni abbiamo approntato centri di iniezione direttamente fuori dalle sinagoghe".

Perché avete deciso di andare a vaccinare le persone anche sul posto di lavoro?

"Perché spesso la gente non si prenotava per mancanza di tempo. Andare nelle fabbriche e nelle aziende ci ha consentito di raggiungere più persone. L’adesione è stata alta e tra l’altro avere in anticipo la lista di chi si sarebbe sottoposto all’iniezione ci ha permesso di non sprecare dosi".

Per i più giovani cosa avete pensato?

"Siamo andati fuori dai locali più frequentati. Chi si proteggeva dal Covid riceveva una pizza o una birra gratis. Abbiamo offerto anche dell’hamin, il tradizionale stufato israeliano".

I ragazzi hanno gradito?

"Molto. Ovviamente non ci presentavamo all’improvviso: erano tutti eventi largamente pubblicizzati. Buttare dei flaconi sarebbe stato inammissibile. Queste soluzioni originali ci hanno consentito di vincere la stanchezza mentale di chi ancora doveva essere protetto dal virus. Il mio incubo peggiore è sempre stato quello di veder avanzare delle fiale. Se potessi tornare indietro, investirei molto di più nella comunicazione".

All’inizio delle vaccinazioni siete partiti con gli over 60 e il personale sanitario, poi avete iniziato a proteggere anche i più giovani. Come mai questo cambio di rotta?

"Bisogna sempre guardare al futuro. Prima che finisse il lockdown, da cui siamo appena usciti, abbiamo iniziato a proteggere insegnanti e studenti over 16. L’obiettivo era quello di riaprire le scuole per consentire a tutti di fare la maturità e di accedere al servizio militare".

Quando inizierete a vaccinare i minori di 16 anni?

"Appena i dati ci diranno che è sicuro. Si parla di pochi mesi, forse anche prima".