Roma, 1° giugno 2025 – La Cina torna con prepotenza nel mirino degli Stati Uniti, confermandosi la maggiore preoccupazione del presidente, Donald Trump, in politica estera. Ma i toni assertivi di Washington non solo stanno creando irritazione a Pechino, preoccupano tutta l’area, che teme un aumento della tensione, anche a causa delle politiche commerciali del tycoon, che potrebbero avere ripercussioni sui mercati locali.
L’avviso della Casa Bianca
A lanciare un messaggio al Dragone, è stato il capo del Pentagono in persona. Pete Hegseth, uno dei ‘falchi’ dell’amministrazione Trump, convinto sostenitore della linea protezionista del Presidente, ha detto senza troppi mezzi termini che un attacco armato della Cina a Taiwan ‘potrebbe essere imminente’. La rilevazione, destinata a suscitare polemiche è arrivata mentre Hegseth si trovava a Singapore, in occasione dello Shangri-La Dialogue. Di mezzo, come sempre c’è la questione dell’isola, non riconosciuta dalla comunità internazionale e che la Cina sta cercando di annettere, non solo per la sua posizione geografica strategica, ma anche perché Taiwan è la capitale mondiale della produzione di microchip. "Qualsiasi tentativo della Cina comunista di conquistare Taiwan – ha spiegato Hegseth – avrebbe effetti devastanti per l’Indo-pacifico e il mondo. La minaccia rappresentata da Pechino è reale”. Hegseth ha sottolineato che gli Stati Uniti non cercano il conflitto, ma ha lasciato intendere che i partner dell’area dovranno scegliere fra Washington e il Dragone.

La reazione di Pechino
L’Ambasciata cinese a Singapore ha bollato le dichiarazioni del capo del Pentagono come piene ‘di provocazioni e istigazioni’. Non solo. Sui social della sede diplomatica ha scritto che Hegseth ‘ha ripetutamente diffamato e attaccato la Cina e ha enfatizzato senza sosta la cosiddetta minaccia cinese. In effetti, gli Usa stessi sono il principale agitatore per la pace e la stabilità regionale’. Poi è giunto un avvertimento, particolarmente duro, direttamente dal ministero degli esteri cinese: “Gli Stati Uniti non dovrebbero giocare con il fuoco”.
I dazi di Trump
Già dai tempi di Biden, l’amministrazione americana si è concentrata sulla regione indo-pacifica per cercare di creare una cordata favorevole agli USA in funzione anticinese e della quale fanno parte Paesi come la Corea del Sud e il Giappone, che temono le mire espansionistiche cinesi e le intemperanze della Corea del Nord. A questo va aggiunto anche il tema dei dazi, utilizzato dal presidente come una vera e propria arma di pressione politica. Proprio ieri, il tycoon ha annunciato l’aumento dei dazi dal 25 al 50% sull’acciaio e l’alluminio. Lo ha fatto mentre si trovava in visita allo stabilimento della Us Steel in Pennsylvania, nel cuore della siderurgia statunitense. Trump ne ha approfittato per puntare il dito contro Pechino, accusata, insieme con l’Unione Europea, di fare concorrenza sleale e di aver ‘violato l’accordo’ che aveva sottoscritto con Washington per la sospensione degli altissimi dazi annunciati dal presidente americano. Il riferimento sarebbe ai ritardi cinesi nell’export di terre rare, essenziali per le produzioni hi-tech.