Mullah Baradar, chi è il leader ambiguo dei talebani in gara con l'Isis

Afghanistan: il mullah Baradar annuncia "un governo islamico inclusivo". Ma finora non ha risparmiato le violenze

Il mullah Baradar (Ansa)

Il mullah Baradar (Ansa)

Comodamente adagiato su una poltrona nel Palazzo della Presidenza, il mullah Abdul Ghani Baradar, cerca di rasserenare gli animi. "Questa – garantisce – è l’ora della prova. Noi forniremo i servizi alla nazione intera, le daremo serenità e faremo del nostro meglio per migliorare la vita delle persone".

Afghanistan, Biden: "La nostra missione era fermare il terrorismo"

Baradar ha 53 anni. Fino al 2018 era in un carcere pachistano. Nel 2003 il mullah Omar, il padre spirituale degli ’studenti coranici’, lo nominò suo vice. Ora è al vertice di una struttura più decentrata, che potrebbe essere anche più pericolosa. I leader delle singole province hanno un ampio margine di autonomia sia nel reclutamento sia nella gestione del denaro. Solo il 20% delle somme raccolte viene destinato al vertice.

Sui diritti dell’universo femminile nel nuovo "emirato islamico dell’Afghanistan" durante i negoziati di Doha Shuhail Shaheen, il portavoce dei Talebani per i media in lingua inglese, si è limitato a dichiarare che saranno riconosciuti "secondo la legge islamica". Sono i dettami della Sharia, le regole del Corano secondo l’interpretazione più tradizionalista.

Afghanistan, il video choc degli aerei

Le donne non debbono studiare, debbono coprire il viso col burka, non possono lavorare, sono autorizzate a uscire di casa solo se accompagnate da un parente maschio e possono essere costrette a sposare un combattente. Le vedove debbono impalmare un membro della stessa famiglia del marito. Se non lo fanno, sono emarginate. Le contravvenzioni più gravi vengono punite con la fustigazione o con la lapidazione (per l’adulterio).

Alle parole, purtroppo, sono seguiti i fatti. A Kandahar all’inizio di luglio i militanti islamici sono entrati nella sede della Banca Azizi e hanno ordinato a nove impiegate di andare a casa e di mandare al loro posto i parenti dell’altro sesso. Due giorni dopo la stessa scena si è ripetuta alla filiale di Herat dell’istituto di credito Milli. Un filmato mostra i controlli di oggi (ieri per chi legge, ndr) all’uscita di Kabul. Ai posti di blocco i Talebani armati verificano che al volante della vettura ci sia un uomo.

Zahra Rahimi, 25 anni, è una giornalista dell’emittente televisiva privata Tolo News. "Da quando sono partiti gli americani e la Nato – racconta – non posso più tornare a Bamyan, la città della mia famiglia. La strada che la collega a Kabul è controllata dai talebani". Il 12 maggio a Khost, nell’est afgano, è stato decapitato Sohail Pardis, 32 anni. La sua unica e indelebile "colpa" era aver lavorato per 16 mesi come interprete per le truppe statunitensi.

A rendere più instabile lo scenario complessivo, contribuisce il fatto che da molti mesi i Talebani subiscono un’arrembante concorrenza dell’Isis, l’autoproclamato Califfato Islamico.

L’8 maggio, a Kabul, una bomba all’ingresso di una scuola superiore nell’area di Dasht-i-Barchi ha ucciso 55 studentesse della minoranza sciita hazara tra gli 11 e i 15 anni. Zabihullah Mujahid, un portavoce talebano, ha immediatamente dichiarato che solo il cosiddetto Stato Islamico poteva essere "responsabile dell’atroce delitto".

Nel 2020, infatti, l’Isis aveva rivendicato attacchi a strutture educative hazara in quell’area. Il 21 novembre dello stesso anno, ventotto razzi katiuscia hanno ucciso dieci persone nella cittadella fortificata delle ambasciate e della Presidenza, la Green Zone, e in periferia. Su Telegram, l’Isis si è attribuito la paternità dell’attacco con queste parole: "Soldati del Califfato hanno preso di mira la Green Zone, dove si trovano l’edificio della Presidenza afgana, le ambasciate dei Paesi crociati e il quartier generale delle forze afgane". Si può credere ora all’improvviso pragmatismo di Baradar che promette "un governo islamico aperto e inclusivo?".