Ucraina-Russia, perché per Erdogan la pace è un affare

L'analista: grano dall’Ucraina, turisti dalla Russia, la fitta rete commerciale. Solo il sultano può convincere Putin

Il leader turco Erdogan raggiunge i delegati di Russia e Ucraina che lo applaudono

Il leader turco Erdogan raggiunge i delegati di Russia e Ucraina che lo applaudono

Roma, 29 marzo 2022 - ​«Se si dovesse giungere, come spero, alla pace, questa non potrà che passare per Istanbul. La Turchia è l’unico Paese che sta conducendo trattative concrete e ufficiali". Mariano Giustino vive in Turchia da anni e, come studioso e corrispondente di Radio Radicale, conosce per mestiere vita, morte e miracoli del Rais e degli umori di un Paese strategico nello scacchiere del conflitto russo-ucraino: e dal suo osservatorio si mostra convinto che proprio "Erdogan ha tutto da guadagnare dalla pace ed è il solo riconosciuto come colui che più può riuscire nell’impresa".

Perché il ruolo di Erdogan si sta rivelando così decisivo per una possibile soluzione della guerra?

"Per una serie di ragioni. Si può osservare innanzitutto come Erdogan stia offrendo a Putin una via d’uscita da una guerra in cui rischia di trovarsi impantanato. E come, al tempo stesso, sia nelle condizioni di garantire anche Zelensky".

I "due amici preziosi", come li ha definiti.

"E tali sono per lui, per molteplici intrecci. La Turchia è un Paese vicino, nel Mar Nero, sia della Russia sia dell’Ucraina: una destabilizzazione prolungata dell’area avrebbe ripercussioni inevitabili e gravi. E, in realtà, sta già determinando conseguenze negative. Teniamo conto che Erdogan dovrà affrontare elezioni decisive l’anno prossimo e sta gestendo una recessione senza precedenti da quando è al potere, dal 2002. Ha un’opposizione che lo incalza continuamente. I sondaggi dicono che ha perso consensi. Ebbene, una guerra ai suoi confini tra due Stati che sono i maggiori partner della Turchia per rapporti commerciali, è, nel contesto interno, un danno enorme per la sua sorte politica. Il prolungamento del conflitto aggrava la crisi economica e rischia di fargli perdere le elezioni".

Quali sono gli intrecci tra Ankara, Mosca e Kiev?

"La Turchia dipende per il 40 per cento dalla Russia per il gas e importa grano russo per il 70 per cento, come anche l’olio di girasole: ingredienti essenziali per la vita quotidiana. La Russia rappresenta il primo Paese al mondo per le entrate turistiche della Turchia, l’Ucraina è il terzo. Con quest’ultima, per giunta, c’è una partnership strategica anche nel settore della difesa perché i motori dei droni turchi sono ucraini e gli ucraini sono presenti nell’azionariato dell’azienda della difesa del genero di Erdogan".

L’interesse turco è chiaro, a questo punto. Ma perché la Russia e l’Ucraina danno spazio alla mediazione del Sultano e non di altri?

"Mosca e Kiev sostengono la mediazione turca per ragioni che attengono a quelle indicate: Erdogan è visto, insomma, da tutte e due le parti come un attore fondamentale nell rispettive partnership. Ma, per Putin, i motivi riguardano anche la possibilità di condizionare, se non di manipolare, l’azione di Erdogan, come pure la volontà di fare in modo che Ankara non sia troppo legata all’Occidente. E, in questo senso, il Rais si è mosso fin dall’inizio in questa logica di equilibrio, per garantirsi una posizione di facilitatore nel negoziato".

Nel senso?

"La Turchia ha assunto una posizione che potremmo definire pro neutralità dell’Ucraina: ha definito invasione quella che Putin chiama operazione militare speciale e l’ha condannata, come abbiamo fatto noi. Ma non aderisce alle sanzioni e non ha chiuso il proprio spazio aereo ai voli russi".

Veniamo all’Europa e agli Stati Uniti: Ankara fa «anche» parte della Nato.

"E, infatti, questa è un’altra ragione che spinge la Turchia a cercare tutte le vie d’uscita possibili dalla guerra. Non ha interesse all’estensione del conflitto perché è un Paese Nato e potrebbe essere costretta a fare una scelta che non vuole fare. Anche perché ci sarebbero ritorsioni russe gravi in Siria: basti pensare ai tre milioni di profughi ai confini che potrebbero essere spinti in territorio turco".

Un successo di Erdodan, del resto, potrebbe servirgli proprio in ambito Ue e verso gli Usa.

"Il miglioramento dei legami con Washington e con Bruxelles avrebbe una ricaduta anche in patria in termini di consenso, perché lo farebbe uscire dall’isolamento per il dossier sui diritti umani. Ma anche sul piano concreto, perché gli Stati Uniti dovrebbero revocare le sanzioni in materia di armamenti che oggi rendono, per esempio, inutilizzabili i caccia F16 turchi".