Coda alla frontiera per tornare in Ucraina. "Firmo l'elmetto del primo russo che uccido"

Oltre 25mila persone rientrano per difendere Kiev. Da Oleksandr, writer che ha imbracciato il fucile, a Max, cuoco che cerca la moglie

Rifugiati ucraini (Ansa)

Rifugiati ucraini (Ansa).

Roma, 27 febbraio 2022 - Una lenta marcia rumorosa scandisce il tempo alla frontiera di Medyka, il varco tra due mondi spaventati in modo diverso. Da un lato l’Ucraina, la guerra che si allarga sulla mappa come una macchia di sangue fresco; dall’altro la Polonia, la speranza della salvezza e l’incertezza del futuro. In mezzo, un fiume umano di storie. Se nei giorni scorsi il flusso era unicamente nella direzione d’uscita dall’Ucraina, ora il traffico inizia a segnare rallentamenti anche in entrata a causa delle parole del presidente Volodymyr Zelenskyy.

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"Se avete un’esperienza di combattimento potete venire nel nostro Paese per difendere l’Europa", ha annunciato al mondo dopo aver ordinato al governo di diffondere un video tutorial su come preparare molotov in casa. Lo hanno soprannominato "il cocktail di benvenuto". La fila di tir che attende di entrare nel Paese in guerra conferma che quelle parole sono arrivate al pubblico, niente di nuovo per l’istrionico presidente-attore.

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Lungo l’autostrada E40, già all’altezza di Cracovia, si notano mezzi pesanti con targa ucraina diretti verso il confine. Sono i guerrieri di rientro, camionisti, frontalieri, pendolari che fino a una settimana fa vivevano il rientro in famiglia come una fastidiosa deviazione al programma di lavoro e che invece ora sentono di essere nel posto sbagliato. Lontani dagli affetti, da quella patria che vedono soffocare sotto l’azione opprimente di uno Stato che ha alimentato a piacimento la retorica dei popoli fratelli e che adesso appare solo come un fratellastro ottuso.

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La E40, l’autostrada lunga 8mila chilometri che attraversa l’Europa come un’arteria, che parte dal canale della Manica e arriva al confine con la Cina. Quella stessa E40 che ora è spezzata dall’assedio di Kiev. "Siete pazzi se pensate di percorrere la E40 fino a Kiev", ci dice Kostantin, che riesce a contattarci attraverso Facebook dal suo nascondiglio nella capitale. "Sono in cantina ma per fortuna c’è ancora la rete. Ho altri amici ucraini che stanno cercando di arrivare ma per ora la città è tagliata fuori. C’è ancora il treno da Chmel’nyc’kyj ma chissà per quanto". Ha ragione, impossibile programmare.

"Arrivo dalla Germania, mia moglie e mia figlia dovrebbero arrivare al confine domani (oggi per chi legge, ndr) e spero di riuscire a incontrarle per portarle via da questo incubo", ci racconta Max, un lavoro da cuoco all’estero che lo ha salvato dall’obbligo di imbracciare il fucile imposto dal presidente Zelenskyy per fermare una probabilissima emorragia di combattenti. Incontriamo Max in un piccolo motel a Rzeszów, comune polacco da 200mila abitanti a circa 100 chilometri dal portale di Medyka. Anche lui ha fatto un lungo viaggio in auto e ha deciso di passare la notte qui con la speranza che oggi sia il giorno buono. "Posso bloccare la camera anche per domani? Non sono sicuro di riuscire a incontrare mia moglie ma devo provarci". Mentre spiega il motivo di quella richiesta alla ragazza alla reception, si affida a una preghiera involontaria.

"Amico mio, sono partito ieri da Parigi e non mi fermerò finché non sarò arrivato a Kharkiv. I miei cugini mi stanno aspettando per rompere il c... ai russi. Giuro che al primo che ammazzo gli lascio la mia tag sull’elmetto". Oleksandr, che da quando vive a Parigi è solo HOle, appartiene a una crew di writer vandalici esperti in ugly graffiti, che per anni ha "combattuto" scrivendo il proprio nome sui muri di mezza Ucraina. "Solo noi ucraini possiamo devastare il nostro Paese e comunque noi ci limitavano alle bombolette". Il problema è che ora parliamo di bombe e proprio a Kharkiv, nel nord-est, gli scontri sono più violenti. "Non mi spaventa, i miei amici hanno inciso sull’impugnatura di legno del Kalashnikov il nostro nome. Devono sapere chi li ammazza". Oleg invece è partito dall’Ungheria ma ha scelto di entrare da Medyka perché più vicina alla sua Zytomyr, a due ore di auto da Kiev.

"Sono riuscito a recuperare un elmetto e due giubbotti antiproiettili con piastre in ceramica, roba buona. Le armi me le procureranno i miei amici lungo la strada, non posso dirti dove. Il mio capo non è d’accordo con la mia partenza ma lui non capisce, nessuno può capire". Ma quanti sono quelli che rientrano? Non ci sono ancora stime precise, anche perché sono molti i punti di accesso sparsi lungo tutto il confine tra Moldavia, Polonia e Ungheria. La polizia polacca sostiene che oltre 25mila persone siano rientrate in Ucraina. Maschi, abili al combattimento e più decisi di quanto forse si aspettasse Putin.