Ucraina, Putin è sempre più isolato. Il gelo di Cina, Turchia e India

Anche i Paesi più vicini alla Russia attaccano le scelte del Cremlino. E cresce la fronda interna

Da sinistra in senso orario: Erdogan, Modi, Jinping

Da sinistra in senso orario: Erdogan, Modi, Jinping

Washington, 22 settembre 2022 - L’Apocalisse è dietro l’angolo? Una cosa è sicura: la minaccia nucleare russa non è un’ipotesi. È una possibilità. Vladimir Putin più è isolato e più è rabbioso. L’Assemblea generale dell’Onu gli vota contro e lascia che Volodymyr Zelensky tenga un discorso virtuale. Il presunto amico, il cinese Xi Jinping, riprende le critiche del presidente indiano Modi e gli chiede un cessate il fuoco immediato. Il turco Erdogan, invece, prova a giocare la carta del grande mediatore. Joe Biden risponde ai timori di una escalation nucleare con un’escalation verbale. Per gli americani una guerra protratta rientra nella dottrina del Pentagono, indipendentemente dai rischi nucleari. Dissangua la Russia. Lo ha detto il segretario alla Difesa Lloyd Austin.

CRISI DI CUBA

La sfida di Putin ci riporta a quel drammatico ottobre del 1962 quando il mondo fu sull’orlo dell’Olocausto. Ma con una differenza. L’allora presidente sovietico Nikita Kruscev non era affatto isolato. Si sa come andò a finire. A cedere fu la Russia. Ritirò i missili da Cuba e Kennedy per salvargli la faccia li ritirò dalla Turchia. E ora? Ora la situazione è più pericolosa. Non per la minaccia esplicita di Vladimir Putin di usare l’arma atomica se la mobilitazione parziale non dovesse ridare slancio alla sua sgangherata Armata Rossa, ma perché la Russia postcomunista è più debole e screditata dell’Unione sovietica. E la debolezza peggiora e non migliora il quadro geopolitico. Un dittatore isolato e disperato è capace di qualsiasi infamia quando è con le spalle al muro. Hitler docet.

ARSENALE NUCLEARE

Putin dispone di un imponente arsenale nucleare, più grande anche se meno sofisticato di quello americano. I suoi missili sono meno precisi, ma proprio per questo rischiano di finire sulle città e non sulle basi militari. Più in Europa che nella lontana America. "Siamo in guerra con l’Occidente", dice senza tanti giri di parole il ministro della Difesa Sergei Shoigu. Ed è opinabile che lui e il suo boss si sentano intimoriti dai contromoniti di un presidente americano che ha compromesso la sua credibilità in Afghanistan e ha reagito tardi e male quando già lo scorso inverno le truppe russe alle frontiere ucraine erano pronte all’invasione. Putin dunque è solo. Nel succitato voto all’Onu solo sei Paesi si sono schierati con lui: Cuba, Eritrea, Bielorussia, Corea del Nord, Nicaragua, Siria. E l’indiano Modi rincara la strapazzata che gli ha impartito a Samarcanda una settimana fa: non è il momento di fare guerre.

FRONDA INTERNA

Certamente non è il momento di continuare la maledetta guerra in Ucraina. Quella povera nazione ne è martoriata. L’Europa ne è strangolata perché si dà il caso che le controsanzioni di Putin facciano più male delle sanzioni imposte per piegarlo. In Europa la recessione incombe. Negli Stati Uniti c’è già da tre trimestri a dispetto dei dinieghi di Joe Biden. Senza parlare dell’inflazione che porta a un rincaro del costo del denaro e dunque a minori investimenti, minore produzione, minore occupazione. Ma c’è di più. E questo Putin proprio non se l’aspettava. S’ingrossa la fronda interna anche fra i nazional-imperialisti che applaudirono l’aggressione all’Ucraina nella convinzione che "l’’operazione speciale" si sarebbe conclusa in una settimana, al massimo due. Sono passati sette mesi. E l’inefficienza mostruosa dell’esercito russo ha esposto a un’umiliazione storica l’intera nazione e non solo il suo presidente. Come se ne esce? Con un compromesso, concordano gli analisti del Washington Institute of Foreign Affairs, di cui faccio parte. Modello Cuba, sessanta anni fa. Con una formula salvafaccia. Putin potrebbe allora dichiarare vittoria e porre fine alla tragedia.