Ucraina, le madri in fuga si raccontano sul pullman della speranza

Nel loro Paese lasciano padri da riabbracciare e famiglie da ricostruire: "Nessuna di noi sarebbe partita, ma abbiamo dei bambini a cui pensare". L'orizzonte si chiama Italia

Una mamma sul pullman verso l'Italia (Foto Toni)

Una mamma sul pullman verso l'Italia (Foto Toni)

Oksana, 35 anni, si è messa in viaggio con tre figli. Accanto a lei, nel pullman che da una stazione di carburanti alla frontiera ucraina la porterà in Italia insieme ad altri cento connazionali, sonnecchia Arthur 2 anni. Poco più in là ci sono Karina, 4 anni, e Ivan, 12. Oksana prende il telefonino e mostra la foto del fumo di una bomba. Scene già viste, solo che lei quella foto l’ha fatta scostando le tendine di casa.

Siamo a Cop, 9mila abitanti prima della guerra, in Transcarpazia: il confine ungherese (e l’Europa) è dall’altra parte. L’orizzonte si chiama Italia, l’autobus (partito domenica dalle Marche, un passaggio in Romagna e arrivato in Ucraina per questo viaggio voluto da Ipa, Associazione Internazionale di Polizia, e Unsi, Unione Nazionale Sottufficiali italiani) si è appena rimesso in moto nella direzione opposta.

Oksana Nechyporuk è una delle 47 mamme in fuga da Kiev. Come le altre compagne di viaggio, è sinceramente convinta, al di là dell’evidenza, che il rientro nella martoriata terra del cielo e del grano, sarà questione di un paio di mesi, se non settimane. Perché "nessuna di noi sarebbe partita – dice con ferma determinazione – se non avesse avuto dei bambini a cui pensare. C‘è un paese da ricostruire".

E mariti e padri da riabbracciare, famiglie da ricomporre. Ci sono uomini, nel caso di Oksana, che vestono la divisa. "Mio padre era un militare – racconta sempre mostrando le foto -. Nel 1986 fu impegnato a Chernobyl per due anni". È un poliziotto anche il marito, mentre la stessa Oksana è capitano.

"Sono potuta partire perché ero in congedo di maternità – racconta – e l’ho fatto per i bambini e per mia suocera, che è in viaggio con me e non ha più una casa, distrutta dai bombardamenti a Irpin". Oksana una casa ce l’ha ancora, ma viverci era diventato impossibile. "Per due settimane abbiamo dormito per terra: tremava tutto, i vetri vibravano fortissimo. Ai bimbi piccoli puoi anche raccontare che sono i fuochi dell’ultimo dell’anno, ma il grande capiva ed era terrorizzato". 

Dice così Oksana, senza un accenno di autocommiserazione, anzi mostra sul display quel suo piccolo uomo di 14 anni che intona l’inno nazionale. "Torneremo a Kiev – dice -, anche solo per rifocillare i soldati. Abbiamo lasciato una città che non sembra più la nostra, avevamo sei ponti e ne sono rimasti solo due. Dobbiamo tornare a riconoscerla".

Il fatto che ci sia una guerra tuttora in corso, e che il loro sia un paese inesorabilmente soccombente, non scalfisce la convinzione di trovarsi comunque dalla parte giusta della storia. "I nostri moriranno – dice Olha Moskaliuk, 35 anni, insegnante – ma l’avranno fatto per la nostra terra, per le nostre famiglie, per la nostra libertà. Saranno i russi a non voler continuare una guerra che l’Ucraina non ha mai voluto. Io non amavo Zelensky, ma ho cominciato a rispettarlo quando non ha abbandonato la nazione. Perché ognuno può pensarla come vuole, ma resta il fatto che noi, il nostro presidente, siamo stati in grado di sceglierlo e saremo in grado di mandarlo via quando non ci piacerà più. I russi invece?”.

Intanto, però, sono loro che devono andarsene. Lasciando mariti e a volte persino figli. Come Lyudmila Bilik, 40 anni, che accanto a sé ha la piccola Arina, 3 anni, beatamente accucciata sulle cosce della mamma. A Kiev ha dovuto lasciare un figlio di 21 anni. "Quando sono arrivate le bombe ci siamo rifugiate un giorno intero in una chiesa. Con noi c’erano un centinaio di persone, è stato terribile. Eppure non è stato quello il momento peggiore: è stato quando con Arina siamo partite in macchina per metterci in salvo. Andavamo verso est, quando abbiamo cominciato a sentire i bombardamenti. Si trattava dell’aeroporto di Gostomel. Gli spostamenti d’aria scuotevano l’auto, ho cominciato a piangere ma sono riuscita ad arrivare dai miei genitori. Però la piccola stava male e abbiamo chiamato l’ambulanza: ci hanno portate subito in ospedale, ma appena arrivata lì è partita la sirena degli allarmi aerei. Ci hanno fatto scappare nei sotterranei insieme a tutti i malati. C’era chi aveva le flebo, i drenaggi… finita l’emergenza si tornava ai reparti, ma la sirena poteva scattare anche 10 volte in 24 ore. Ho trascorso così tre giorni d’inferno: era impossibile dormire, i malati non venivano nemmeno cambiati. È stato in ospedale che ho visto mio marito e mio figlio l’ultima volta. Mio marito è un poliziotto che insegna Diritto di Polizia all’Accademia. Abbiamo capito che dovevamo metterci in salvo e lui mi ha salutato dicendomi ‘vi amo molto, Dio vi protegga"’.

Nel pullman che corre verso l’Italia, Olha ha accanto a sé il figlio Bohdan, 14 anni. Esattamente come i nostri adolescenti, Bohdan incassa la testa tra le spalle, alza il cappuccio, e non si esprime. È arrabbiato con la mamma, che l’ha portato via in un posto sconosciuto. Senza il babbo. ‘Appena è scoppiata la guerra siamo fuggiti – racconta Olha – e siamo andati a Pryluky, verso est. Se avessimo aspettato solo un giorno, saremmo rimasti sotto le bombe perché è proprio lì che le forze armate si sono dirette. Suo padre gli ha detto: ‘ora vai, sei tu adesso l’uomo importante della famiglia’. Ma per lui è stato difficile".

Ognuna di loro ha cercato le parole per raccontare a chi non ha che pochi anni ciò che è umanamente incomprensibile. Alla sua Veronika che ha solo 3 anni, e saltella sul sedile accanto a lei, mamma Kateryna Kozenko, 27 anni, insegnante, ha detto: "Sei una bambina fortunata. Vedrai bei posti e sarai salva". Le stesse parole che il marito di Kateryna, poliziotto, ha detto a lei prima di salutarla: "Pensa a te e alla bambina. Se voi siete salvi, io sono felice". Anche Katerina pensa di tornare molto presto. Ama dell’Italia ciò che ama dell’Ucraina, ma sa in cuor suo che non sarà che una parentesi di bellezza e calore in una pagina buia della sua vita. "Noi ucraini siamo molto simili a voi: non ci abbattiamo, siamo forti e divertenti, gentili e determinati. Soprattutto non perdiamo mai la speranza".